Le frontiere del fotovoltaico organico di terza generazione si allargano sempre di più con la ricerca di quelli che sono i pigmenti energeticamente più attivi e convenienti
Dott.ssa Rea, da dove è nata l’idea di coniugare la ricerca nel settore del fotovoltaico con quella in campo agronomico?
L’idea è venuta dalle problematiche generali che oggi coinvolgono il settore energetico in generale. Stando alle direttrici stabilite dall’UE, infatti, entro il 2020 si dovrà arrivare a una riduzione delle emissioni del 20% e a un incremento del 20% nell’utilizzo dell’energia rinnovabile e nell’aumento dell’efficienza energetica. Il fotovoltaico ha molti vantaggi rispetto ad altre tecnologie rinnovabili, legati a una conversione diretta dell’energia radiante in energia elettrica e al facile ancoraggio delle reti elettriche. Ma, nonostante queste potenzialità, il settore si trova attualmente limitato dalla bassa competitività rispetto ad altre fonti energetiche, soprattutto per l’alto costo della tecnologia. Ecco perché oggi, per far fronte agli eccessivi costi impiantistici delle celle fotovoltaiche tradizionali che richiedono oneri considerevoli per materiali come il silicio ad elevato grado di purezza e per ridurre il considerevole impatto ambientale relativo allo smaltimento delle stesse, sta prendendo sempre più piede l’impiego di molecole organiche per l’intercettazione dell’energia solare e successiva conversione. Un passo avanti che con AGROSOL abbiamo voluto fare è stato quello di utilizzare sostanze coloranti naturali, e non di sintesi, come spesso accade in questo ambito della ricerca.
Quali sono i pro e i contro di questo nuovo approccio tecnologico?
L’abbassamento dei costi di produzione e l’importante profilo di sostenibilità legato all’uso delle piante sono sicuramente i vantaggi principali, insieme a problemi di smaltimento significativamente inferiori rispetto a quelli imputati al fotovoltaico “classico”. Per quanto riguarda i contro, invece, da una parte ci sono gli alti costi di produzione legati al fotovoltaico, dall’altra i livelli di efficienza ancora molto bassi: rispetto al 20% circa di efficienza di conversione legata al fotovoltaico “classico”, con l’organico si raggiungono quote pari a circa il 2%, uno standard che, sebbene sia ancora troppo basso, rappresenta un enorme risultato da incentivare.
Perché proprio la melanzana?
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La scelta è stata piuttosto casuale, dato che la melanzana non è la sola specie a produrre gli antociani; essa però è in grado di coniugare un’alta produzione di antociani legati alla superficie di produzione, dato che l’antociano viene prodotto su tutta la buccia. L’elevata resa produttiva del pigmento (300-400 mg pigmento/100 g prodotto fresco), infatti, unitamente al ciclo di vita relativamente corto della pianta, alla produttività scalare e alle esigenze pedo-climatiche sono stati i fattori preponderanti la scelta. A nostro favore hanno giocato anche i fattori relativi all’elevata disponibilità di genotipi in ambiente mediterraneo, che hanno garantito selezioni mirate di cultivar con elevate potenzialità produttive in antociani correlati a standard di produttività.
Quanto oggi questo genere di tecnologie fotovoltaiche è lontano dall’industrializzazione?
Nonostante la ricerca in questo campo sia molto attiva, c’è ancora molta strada da fare per rendere la tecnologia competitiva, soprattutto sul piano dell’efficienza di conversione dell’energia. Il fermento c’è e si sente: sono tanti gli estratti naturali che vengono studiati e testati e altrettanti i ricercatori, tra cui noi, che stanno cercando di affinare i risultati. Il nostro gruppo di ricerca ha messo a punto delle celle adatte a questo tipo di materiale e ottenuto risultati promettenti, ma siamo ancora ben lontani dal pensare di poterli industrializzare su larga scala.
Potrebbe esserci il rischio che questo nuovo impiego della melanzana possa entrare in competizione con le colture alimentari?
Direi di no, dato che il ciclo della melanzana va a chiudersi. Quello che infatti andiamo a utilizzare sono i resti che derivano dalla lavorazione di questa coltura. Le bucce, che di norma vengono scartate da chi per esempio produce melanzane sott’olio, vengono invece raccolte e valorizzate per la produzione di energia. Insomma, niente va sprecato.