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Cina-USA, è guerra fredda sul solare

L’industria fv cinese ha chiesto al proprio governo d'avviare un'inchiesta antidumping sulla vendita del polisilicio statunitense in patria. Una mossa che ha il sapore della rivalsa dopo la denuncia presentata lo scorso mese dalla CASM

La Cina affila le armi. Dopo aver pubblicamente controbattuto alle accuse di dumping e concorrenza sleale arrivate dall’industria fotovoltaica americana, la Repubblica Popolare entra nella polemica con una decisa contromossa: un’indagine sulle politiche degli Stati Uniti e sul supporto governativo offerto alle energie rinnovabili. La denuncia dalla Coalition for American Solar Manufacturing (CASM), l’alleanza di produttori americani guidata da SolarWorld, e la conseguente inchiesta avviata dal Dipartimento del commercio Usa, sembra aver infastidito, più che preoccupato, Pechino. E mentre le società cinesi di moduli hanno iniziato a ragionare sull’opportunità o meno di spostare parte della produzione in Corea del Sud e Taiwan nella speranza di disinnescare il caso commerciale in corso contro di loro a Washington, il governo del gigante asiatico potrebbe già essere passato all’azione. “Il ministero del Commercio – si legge su una nota stampa del sito governativo – ha deciso di avviare un’indagine sulla barriera commerciale rappresentata dalle politiche sostegno e dai sussidi per il settore delle energie rinnovabili degli Stati Uniti”.

Come spiega Wang Shijiang, manager dell’alleanza industriale del fotovoltaico cinese, l’obiettivo più probabile dell’azione cinese dovrebbero essere le esportazioni americane di polisilicio, il principale materiale  utilizzato nella realizzazione delle celle solari convenzionali. La produzione di silicio policristallino richiede enormi quantità di energia elettrica, al punto che solitamente è necessario un intero anno di funzionamento del modulo prima che si generi lo stesso quantitativo impiegato per la sua fabbricazione. Il processo richiede il surriscaldamento di grandi volumi di materiale in forni elettrici ad arco con enormi input energetici, che rendono pertanto più facile alla Repubblica popolare importare il polisilicio piuttosto che produrlo in casa, soprattutto se i prezzi americani risultano essere notevolmente più bassi. Gao Hongling, vice segretario generale della China Photovoltaic Industry Alliance ha sottolineato come le imprese straniere abbiano volutamente tagliato dei prezzi del silicio policristallino per “forzare le aziende cinesi fuori dal mercato”. L’alleanza continua a sostenere che nel terzo trimestre del 2011, un numero consistente di fabbriche di silicio in Cina siano state chiuse o ridimensionate in termini produttivi e che oltre 2.000 persone in una sola provincia abbiano perso il lavoro.

Non dimentichiamoci che alla guerra sino-americana si è aggiunta anche la Coalition for Affordable Solar Energy (CASE), nuova organizzazione che a dispetto della sua recente nascita conta già su 52 aziende statunitensi del settore solare, in aperta opposizione con la campagna lanciata da CASM e accusata di “protezionismo”. “Ogni giorno, nuove società americane si schierano per opporsi al tentativo di SolarWorld di bloccare la concorrenza nell’industria americana del solare – ha detto Alan Epstein, presidente e coo di Kdc Solar, nuovo membro di Case basato in New Jersey – La concorrenza è un fatto positivo per l’industria del solare statunitense, per i suoi lavoratori e per l’economia”.