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Centrali fotovoltaiche spaziali, offrono davvero un vantaggio?

Uno studio della NASA valuta i potenziali vantaggi, le sfide e le opzioni dell'agenzia stessa nello sviluppo dell’energia solare spaziale

Centrali fotovoltaiche spaziali
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Le centrali fotovoltaiche spaziali potrebbero essere una (costosa) realtà nel 2050

(Rinnovabili.it) – I primi esperimenti a terra e fra le stelle sono già stati avviati ma prima di veder attivare vere e proprie centrali fotovoltaiche spaziali, toccherà attendere alcuni decenni. E la loro produzione elettrica sarà probabilmente più costosa delle alternative terrestri. A riferirlo è un recente studio della NASA, l’Agenzia spaziale statunitense. L’ente, al pari delle sue colleghe in giro per il mondo, sta sta valutando il modo migliore per supportare l’energia solare in orbita. E oggi è attivamente impegnata nello sviluppo di tecnologie per il suo attuale portafoglio di missioni, che andranno indirettamente a beneficio del segmento. Rimangano aperte tuttavia alcune domande fondamentali, a cominciare da quali sfide si dovranno affrontare nei prossimi anni.

Pannelli solari in orbita, vantaggi e svantaggi

Le centrali fotovoltaiche spaziali comportano la raccolta in orbita dell’energia solare, la trasmissione di tale energia a una o più stazioni sulla Terra, la conversione in elettricità e la consegna alla rete o alle batterie per lo stoccaggio. I sostenitori affermano che l’approccio potrebbe fornire grandi quantità di elettricità h24, senza interruzioni, a prezzi competitivi e con minori emissioni di gas serra (GHG) rispetto alle tecnologie rinnovabili terrestri. Gli scettici ritengono invece che l’approccio non abbia un chiaro percorso di sviluppo, con il rischio di distogliere miliardi di dollari da soluzioni terrestri più mature e conosciute, danneggiando allo stesso tempo l’ambiente.

Lo studio dell’Ufficio di tecnologia, politica e strategia (OTPS) della NASA mira a fare chiarezza, cercando di comprendere le condizioni alle quali l’energia solare spaziale rappresenti un’opzione competitiva per la decarbonizzazione del pianeta.

Due modelli a confronto

“Questa analisi mette a confronto il costo del ciclo di vita di due sistemi concettuali di energia solare basati sullo spazio rispetto al loro potenziale di riduzione delle emissioni nette”, ha affermato Charity Weeden, che guida l’OTPS della NASA. I due sistemi in questione sono: l’Innovative Heliostat Swarm derivato dal concept Alpha Mark III che prevede l’impiego di riflettori spaziali e un concentratore per focalizzare la luce solare su impianti fv a terra; il Mature Planar Array, derivato da un progetto dell’Agenzia spaziale giapponese, che utilizza pannelli piatti, con le celle solari rivolte lontano dalla Terra e gli emettitori a radiofrequenza (RF) rivolti verso la Terra.

Ipotizzando per entrambi i sistemi una centrale fotovoltaica spaziale da 2 GW attiva nel 2050, gli scienziati hanno eseguito uno studio del ciclo di vita. Quindi hanno confrontato l’LCOE e l’intensità delle emissioni di gas serra con i valori delle tecnologie rinnovabili terrestri. Nel primo caso è stato stimato un LCOE di 0,61 dollari/kWh, con il principale fattore di costo rappresentato dal lancio del sistema (71% del totale). Nel secondo caso LCOE risulta essere pari a 1,59 dollari/kWh, con il lancio che rappresenta il 77% del costo totale.

“I nostri risultati – scrive la NASA – indicano che i progetti di energia solare spaziale possono generare emissioni di gas serra per unità di elettricità nel ciclo di vita paragonabili alle alternative terrestri, in attesa di ulteriori studi sull’effetto delle emissioni di lancio nell’alta atmosfera. Riteniamo che questi progetti siano più costosi rispetto alle alternative terrestri e potrebbero avere costi del ciclo di vita per unità di elettricità da 12 a 80 volte superiori. Tuttavia, la competitività in termini di costi può essere raggiunta attraverso una combinazione favorevole di miglioramenti in termini di costi e prestazioni relativi al lancio e alla produzione che vanno oltre i progressi ipotizzati nella valutazione di base”.