Celle solari sottomarine, il nuovo trend fotovoltaico
Mentre un piccola ma solida porzione della ricerca mondiale sta lavorando per realizzare futuristiche centrali fotovoltaiche nello spazio, un’altra frangia è attivamente impegnata a portare la tecnologia in mare. E non solamente sul pelo dell’acqua. Negli ultimi anni è emerso un nuovo trend: quelle delle celle solari sottomarine, unità dotate di una sensibilità spettrale adatta ad assorbire la luce anche in ambiente acquatico.
Fotovoltaico subacqueo, è possibile?
Per quanto suoni bizzarra, la scelta di rendere il fotovoltaico subacqueo ha una finalità ben precisa. L’obiettivo è impiegare l’energia solare in applicazioni marine, come l’alimentazione di veicoli sottomarini senza pilota (UUV), di veicoli sottomarini autonomi (AUV) e di dispositivi di comunicazione.
Impresa impossibile? Non necessariamente. La luce visibile, in particolare nella parte verde-blu dello spettro, può penetrare nelle acque fino a 50 metri di profondità, fornendo energia sufficiente per far funzionare dispositivi elettronici di base.
Ovviamente la tecnologia FV tradizionale presenta diversi limiti in questo senso. Oltre alla sensibilità nei confronti dell’umidità e all’effetto corrosivo esercitato dal sale, le celle commerciali sono progettate per assorbire la luce rossa e infrarossa, porzioni dello spettro che non penetrano molto in profondità nell’acqua.
Ecco perché la ricerca sulle celle fotovoltaiche sottomarine si è focalizzata su semiconduttori diversi dal silicio cristallino. Materiali fotoattivi come il silicio amorfo, il fosfuro di indio di gallio (GaInP) e il tellururo di cadmio (CdTe) stanno dimostrando una maggiore efficienza e potenziale di ottimizzazione nelle condizioni oceaniche. E anche le nuove generazioni a base di perovskite potrebbero risultare promettenti in questo ambito.
Ma trovare il materiale giusto è solo una parte della scommessa. UUV, AUV e simili sono vulnerabili al biofouling, ossia l’accumulo di microrganismi, piante, alghe o piccoli animali sul proprio scafo. Queste incrostazioni organiche rischiano quindi di ridurre l’accesso della cella alla luce, degradando le sue prestazioni. Oltre ovviamente ad aumentare il peso e generare resistenza idrodinamica nei veicoli stessi.
Un rivestimento antivegetativo per le celle solari sottomarine
La soluzione al problema arriva dai ricercatori Narayanan Rajagopalan e Søren Kiil del Dipartimento di Ingegneria chimica e biochimica dell’Università tecnica della Danimarca. Rajagopalan e Kiil hanno creato un rivestimento antivegetativo e auto-lucidante per celle solari subacquee in grado di prevenire il biofouling senza interventi di pulizia meccanica.
Nel dettaglio gli scienziati hanno impiegato concentrazioni ultra-basse di pigmenti nanometrici solubili in acqua di mare, in particolare ossido di rame (Cu2O) e ossido di zinco (ZnO), combinati con un biocida organico booster e un materiale legante a rapida lucidatura.
“Questo rivestimento – si legge nell’articolo pubblicato su Progress in Organic Coatings (testo in inglese) – ha mantenuto alti livelli di trasmissione della luce visibile per tre mesi in acqua di mare tropicale senza richiedere l’intervento umano […] I test sul campo ne hanno dimostrato l’efficacia nel prevenire il biofouling, preservando al contempo la trasparenza”.
“Prevediamo che questi rivestimenti anti-incrostazione autosufficienti possano essere applicati a substrati sottili, trasparenti e intercambiabili per la sostituzione continua su veicoli sottomarini autonomi alimentati a energia solare o piattaforme di celle solari, garantendo così l’efficienza operativa a lungo termine“, scrivono gli autori.
Lo studio è stato finanziato dall’Ufficio di ricerca navale della Marina statunitense.
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