Ingegneri chimici dell'Università tecnica della Danimarca hanno creato uno speciale rivestimento in grado di prevenire la corrosione dovuta al biofouling nelle nuove celle fotovoltaiche subacquee. Mantenuti alti livelli di trasmissione della luce visibile per tre mesi in acqua di mare tropicale
Celle solari sottomarine, il nuovo trend fotovoltaico
Mentre un piccola ma solida porzione della ricerca mondiale sta lavorando per realizzare futuristiche centrali fotovoltaiche nello spazio, un’altra frangia è attivamente impegnata a portare la tecnologia in mare. E non solamente sul pelo dell’acqua. Negli ultimi anni è emerso un nuovo trend: quelle delle celle solari sottomarine, unità dotate di una sensibilità spettrale adatta ad assorbire la luce anche in ambiente acquatico.
Fotovoltaico subacqueo, è possibile?
Per quanto suoni bizzarra, la scelta di rendere il fotovoltaico subacqueo ha una finalità ben precisa. L’obiettivo è impiegare l’energia solare in applicazioni marine, come l’alimentazione di veicoli sottomarini senza pilota (UUV), di veicoli sottomarini autonomi (AUV) e di dispositivi di comunicazione.
Impresa impossibile? Non necessariamente. La luce visibile, in particolare nella parte verde-blu dello spettro, può penetrare nelle acque fino a 50 metri di profondità, fornendo energia sufficiente per far funzionare dispositivi elettronici di base.
Ovviamente la tecnologia FV tradizionale presenta diversi limiti in questo senso. Oltre alla sensibilità nei confronti dell’umidità e all’effetto corrosivo esercitato dal sale, le celle commerciali sono progettate per assorbire la luce rossa e infrarossa, porzioni dello spettro che non penetrano molto in profondità nell’acqua.
Ecco perché la ricerca sulle celle fotovoltaiche sottomarine si è focalizzata su semiconduttori diversi dal silicio cristallino. Materiali fotoattivi come il silicio amorfo, il fosfuro di indio di gallio (GaInP) e il tellururo di cadmio (CdTe) stanno dimostrando una maggiore efficienza e potenziale di ottimizzazione nelle condizioni oceaniche. E anche le nuove generazioni a base di perovskite potrebbero risultare promettenti in questo ambito.
Ma trovare il materiale giusto è solo una parte della scommessa. UUV, AUV e simili sono vulnerabili al biofouling, ossia l’accumulo di microrganismi, piante, alghe o piccoli animali sul proprio scafo. Queste incrostazioni organiche rischiano quindi di ridurre l’accesso della cella alla luce, degradando le sue prestazioni. Oltre ovviamente ad aumentare il peso e generare resistenza idrodinamica nei veicoli stessi.
Un rivestimento antivegetativo per le celle solari sottomarine
La soluzione al problema arriva dai ricercatori Narayanan Rajagopalan e Søren Kiil del Dipartimento di Ingegneria chimica e biochimica dell’Università tecnica della Danimarca. Rajagopalan e Kiil hanno creato un rivestimento antivegetativo e auto-lucidante per celle solari subacquee in grado di prevenire il biofouling senza interventi di pulizia meccanica.
Nel dettaglio gli scienziati hanno impiegato concentrazioni ultra-basse di pigmenti nanometrici solubili in acqua di mare, in particolare ossido di rame (Cu2O) e ossido di zinco (ZnO), combinati con un biocida organico booster e un materiale legante a rapida lucidatura.
“Questo rivestimento – si legge nell’articolo pubblicato su Progress in Organic Coatings (testo in inglese) – ha mantenuto alti livelli di trasmissione della luce visibile per tre mesi in acqua di mare tropicale senza richiedere l’intervento umano […] I test sul campo ne hanno dimostrato l’efficacia nel prevenire il biofouling, preservando al contempo la trasparenza”.
“Prevediamo che questi rivestimenti anti-incrostazione autosufficienti possano essere applicati a substrati sottili, trasparenti e intercambiabili per la sostituzione continua su veicoli sottomarini autonomi alimentati a energia solare o piattaforme di celle solari, garantendo così l’efficienza operativa a lungo termine“, scrivono gli autori.
Lo studio è stato finanziato dall’Ufficio di ricerca navale della Marina statunitense.
Leggi anche Fotovoltaico: Celle solari autopulenti grazie al porro