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Scoperto (ed eliminato) il tallone d’Achille delle celle solari organiche 

Un gruppo di ricercatori finlandesi ha esteso la vita delle celle solari organiche a oltre 16 anni, raggiungendo un'efficienza di conversione della luce in elettricità di più del 18%

Scoperto (ed eliminato) il tallone d'Achille delle celle solari organiche 
Credits: Marufish via Flickr (CC BY-SA 2.0)

Hanno passato 24.700 ore sotto la luce bianca e non hanno mai smesso di produrre energia ad “alta” efficienza. Sono le celle solari organiche create da un gruppo di ricercatori dell’Åbo Akademi University, in Finlandia, in collaborazione con colleghi dello Suzhou Institute for Nano-Tech and Nano-Bionics, in Cina. Il team internazionale è riuscito in un’impresa unica: scoprire un meccanismo di perdita della fotocorrente mai evidenziato prima ed eliminarlo dall’equazione. Ottenendo così dispositivi con migliori prestazioni.

Ma per capire la portata dello studio è necessario compiere qualche passo indietro.

Fotovoltaico organico: dall’architettura convenzionale a quella invertita

Nonostante i progressi compiuti dal silicio e da altri semiconduttori inorganici (o ibridi), il fotovoltaico organico continua a rappresentare una tecnologia allettante grazie alla sua innata leggerezza, flessibilità, indipendenza dalle tradizionali supply chain e un processo di produzione energeticamente più efficiente.

Gli sforzi riversati nel segmento hanno permesso, soprattutto negli ultimi 5 anni, di aumentare drasticamente l’efficienza di conversione luce-elettricità, per molto tempo uno dei punti deboli della tecnologia. Oggi le migliori celle solari organiche, basate su una struttura convenzionale, shanno raggiunto il 20% di efficienza in condizioni di laboratorio.

Il risultato migliore certificato, secondo il grafico del NREL, appartiene però all’unità della Shanghai Jiao Tong University in grado di convertire il 19,2% delle luce in elettricità.

Rimane un grosso ostacolo da superare: i semiconduttori organici utilizzati nelle celle sono soggetti a degradazione se esposti all’aria ambientale. Una sensibilità che si riscontra anche nei metalli a bassa funzione di lavoro, spesso utilizzati come catodi. Per aggirare questi problemi è nata l’architettura invertita (nip) in cui il catodo si trova sotto gli strati organico e anodico. Con quest’ultimo a base di materiali resistenti, in grado di proteggere la cella.

Le celle solari organiche invertite rappresentano un’opzione più stabile e durevole ma la loro efficienza di conversione risulta decisamente inferiore a quella dei design convenzionali. È qui che si inserisce la nuova ricerca.

Lunga vita alla celle solari organiche

Gli scienziati hanno individuato un meccanismo in grado di spiegare la minore efficienza, finora sconosciuto. Per la precisione una perdita di atomi di ossigeno dalla loro rispettiva posizione nel reticolo cristallino e quelli che in chimica vengono chiamati legami penzolanti a livello del contatto inferiore, lo strato di trasporto ZnO. Questi fattori determinano una regione drogata nello strato fotoattivo, che porta a perdite di fotocorrente causa ricombinazione delle lacune.

La soluzione? Applicare uno strato sottile di passivazione di nitrato di ossido di silicio sul contatto inferiore. In questo modo gli scienziati hanno eliminato l’area di ricombinazione  migliorando l’efficienza. 

Nel dettaglio le nuove celle di solare organiche invertite (area di 1 cm2) riescono a trasformare in elettricità oltre il 18% della luce rimanendo in funzione per 24.700 ore che corrispondono a una durata operativa di oltre 16 anni. Si tratta della durata più lunga mai segnalata per questo segmento. I risultati sono pubblicati su Nature Photonics.

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