Grazia all'applicazione di speciali reticoli metallorganici a due dimensioni, un gruppo di scienziati è riuscito a migliorare la stabilità delle perovskiti senza abusarne la resa
Gli ultimi progressi per le celle solari in perovskite
(Rinnovabili.it) – Negli ultimi anni l’efficienza di conversione delle celle solari in perovskite ha fatto salti da gigante. Da promessa per il fotovoltaico di nuova generazione, questa classe di ossidi è divenuta in poco tempo il più probabile competitor del silicio cristallino. Nonostante i rapidi progressi, però, le perovskiti mostrano problemi ancora che ne frenano la scalabilità e l’industrializzazione. Quelle con la resa più alta ai fini fotovoltaici, infatti, contengono piombo, metallo tossico che, con l’invecchiamento del dispositivo, rischia di fuoriuscire e contaminare l’ambiente.
La sfida centrale è riuscire a trovare un equilibrio tra stabilità e impatto ambientale e oggi un gruppo di scienziati della City University of Hong Kong (CityU) potrebbe aver trovato la quadra. “Per utilizzare le celle solari in perovskite a livello commerciale e su larga scala, è necessaria non solo un’elevata efficienza, ma anche stabilità a lungo termine e impatto ambientale ridotto”, spiega il professor Alex Jen Kwan-yue, a capo del team di ricerca.
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Lo scienziato, assieme ad alcuni colleghi ha affrontato il problema realizzando delle strutture metallorganiche bidimensionali da applicare sopra le unità. “Siamo il primo team a fabbricare simultaneamente celle solari in perovskite con perdite di piombo ridotte al minimo, buona stabilità a lungo termine ed alta resa”.
I reticoli metallorganici – o MOF per utilizzare l’acronimo inglese – sono materiali cristallini costituiti da ioni o composti metallici interconnessi da leganti organici in maniera da formare strutture ad elevata porosità. In ambito fotovoltaico sono già stati impiegati come una sorta di impalcature per modellare la crescita delle perovskiti, come additivi o passivatori superficiali per migliorare le prestazioni e la stabilità.
La maggior parte dei MOF tridimensionali sono isolanti elettrici. Quelli in 2 D della CityU, invece, possono essere usati come strato di estrazione degli elettroni. “I nostri reticoli metallorganici possiedono la proprietà di un semiconduttore multifunzionale e possono essere utilizzati per migliorare l’efficienza di estrazione della carica”, ha spiegato il professor Xu. Elemento ancora più importante, queste strutture sono in grado di “catturare” ioni di metalli pesanti all’interfaccia perovskite-elettrodo.
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“I nostri esperimenti hanno mostrato che il MOF utilizzato come strato esterno delle celle solari in perovskite ha catturato oltre l’80% degli ioni piombo fuoriusciti dall’ossido degradato e ha formato complessi insolubili in acqua che possono contaminare il suolo”, ha spiegato il professor Jen. Allo stesso tempo, il dispositivo ha mostrato una stabilità superiore in un ambiente con umidità relativa del 75%, mantenendo il 90% della sua efficienza iniziale dopo 1.100 ore. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Nature Nanotechnology (testo in inglese).