Oltre la luce visibile, il FV in perovskite valica un nuovo confine
Non si ferma l’innovazione fotovoltaica. L’ultima ricerca di settore ad aver tagliato un traguardo importante arriva dalla collaborazione tra il Korea Advanced Institute of Science & Technology (KAIST) e la Yonsei University, entrambe in Corea del Sud. Gli scienziati hanno creato delle nuove celle solari ibride in perovskite in grado di assorbire anche la luce del vicino infrarosso. Aumentando di conseguenza l’efficienza di conversione rispetto al fotovoltaico in perovskite classico.
Per comprendere la portata di questa ricerca, tuttavia è necessario fare qualche passo indietro.
Questione di spettro
Le celle solari in perovskite si stanno affermando come la nuova generazione fotovoltaica. In pochissimo tempo hanno raggiunto prestazioni che avevano richiesto quasi un secolo al silicio cristallino. Oggi grazie alla possibilità d’essere regolate per rispondere a diversi colori nello spettro solare, offrono un’allettante promessa per le architetture in tandem. E i primi pannelli solari perovskite-Si sono già sul mercato.
Nonostante ciò questa classe di materiali presenta ancora limiti evidenti. Primo fra tutti: le attuali celle fotovoltaiche perovskite al piombo (le più efficienti) hanno un spettro di assorbimento limitato alla regione della luce visibile con una lunghezza d’onda di 850 nanometri (nm) o inferiore. In altre parole riescono ad usare solo il 48% dell’energia solare totale.
Aumentare la finestra di assorbimento equivarrebbe a sfruttare un quantitativo maggiore di energia e dunque incrementare l’efficienza di conversione della luce in elettricità.
Uno dei modi per ottenere ciò è proprio quello di unire materiali differenti, come accade oggi con il tandem con il silicio. Ma vediamo da vicino l’innovazione messa a punto dai ricercatori del KAIST e della Yonsei University.
Le nuove celle solari ibride in perovskite
Il team ha progettato e sviluppato una struttura di dispositivo ibrido in perovskite con fotosemiconduttori organici integrati. Questi ultimi hanno permesso di ampliare l’intervallo di assorbimento fino al vicino infrarosso (0,7 a 10 μm). Non solo. Gli scienziati hanno anche trovato un modo per risolvere la mancata corrispondenza del livello di energia all’interfaccia perovskite/eterogiunzione organica di massa (BHJ), che porta all’accumulo di carica.
“Introducendo uno strato di interfaccia di dipolo sub-nanometrico, è stato possibile alleviare la barriera energetica tra la perovskite e l’eterogiunzione organica di massa, sopprimendo l’accumulo di carica, massimizzando il contributo al vicino infrarosso e migliorando la densità di corrente a 4,9 mA/cm2”, si legge in una nota stampa del KAIST.
Il risultato? Celle solari ibride in perovskite con un’efficienza quantica interna (IQE) più elevata di quella raggiunta in passato, toccando il 78% nella regione del vicino infrarosso. Il che ha portato l’efficienza di conversione complessiva al 24%. Inoltre, le nuove celle fotovoltaiche ibride in perovskite hanno dimostrato un’elevata stabilità, mantenendo oltre l’80% dell’efficienza iniziale dopo 800 ore di illuminazione, anche in condizioni di umidità estrema.
“Attraverso questo studio, abbiamo risolto in modo efficace i problemi di accumulo di carica e di disadattamento delle bande energetiche affrontati dalle attuali celle solari ibride perovskite/organiche”, spiega il professor Jung-Yong Lee della School of Electrical Engineering (KAIST). “Ora saremo in grado di migliorare significativamente l’efficienza di conversione di potenza massimizzando al contempo le prestazioni di cattura della luce nel vicino infrarosso, il che rappresenterà una nuova svolta in grado di risolvere i problemi di stabilità meccanico-chimica delle perovskiti esistenti e superare le limitazioni ottiche”.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Advanced Materials (testo in inglese).
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