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Celle solari bifacciali in perovskite, il segreto dell’efficienza è lo spessore

I ricercatori NREL, aiutati da simulazioni ottiche ed elettriche, hanno progettato una cella bifacciale di nuova generazione in cui l'efficienza di entrambi lati sotto la luce è pressoché simile

Celle solari bifacciali in perovskite
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Celle solari bifacciali in perovskite, la svolta nell’efficienza

(Rinnovabili.it) – Negli anni la tecnologia fotovoltaica bifacciale si è ritagliata un posto di tutto riguardo nel mercato solare. Al punto che oggi diverse ricerche di settore ritengono possa divenire l’approccio principale alla produzione di celle fotovoltaiche entro il 2030. Il merito del successo va indubbiamente alla possibilità di sfruttare anche la luce diffusa e riflessa dal substrato di installazione per aumentare ancora di più la resa dell’impianto.

Non solo silicio

Il semiconduttore d’elezione per questa applicazione? Il silicio cristallino, in tutte le sue architetture possibili (HIT, PERC, PERT, ecc). Ma oggi c’è anche chi sta testando un’altra classe di materiali, definita la promessa del settore: le perovskiti.  Nonostante i grandi progressi raggiunti da questo gruppo di ossidi misti nella configurazione monofacciale, le celle solari bifacciali in perovskite stentano a “brillare”. E le prestazioni appaiono ancora molto contenute.

 A dare una mano sono oggi alcuni scienziati del National Renewable Energy Laboratory (NREL) del Dipartimento dell’Energia statunitense, in collaborazione con colleghi dell’Università di Toledo. Il gruppo guidato dal chimico Kai Zhu ha realizzato celle solari bifacciali in perovskite a singola giunzione in cui l’efficienza sotto illuminazione da entrambi i lati è pressoché vicina.

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La cella solare bifacciale del NREL

Per ottenere questo risultato i ricercatori si sono affidati a simulazioni ottiche ed elettriche con cui determinare lo spessore necessario. Lo strato di perovskite sulla parte anteriore della cella doveva, infatti, essere sufficientemente spesso per assorbire la maggior parte dei fotoni ma non troppo per per ridurre al minimo la perdita di ricombinazione. Le simulazioni hanno mostrato che lo spessore ideale è di circa 850 nanometri. In confronto, un capello umano è di circa 70.000 nanometri. Allo stesso modo sul retro della cella, il team NREL ha dovuto determinare lo spessore ideale (200-240 nm) dell’elettrodo posteriore conduttivo trasparente  per ridurre al minimo la perdita resistiva.

 Per valutare quindi l’efficienza delle nuove celle fotovoltaiche bifacciali in perovskite il team ha posizionato l’unità tra due simulatori solari. La luce diretta è stata puntata sul lato anteriore, mentre il lato posteriore ha ricevuto luce riflessa. Il risultato? La faccia anteriore ha mostrato una resa di oltre il 23%, mentre posteriormente l’efficienza era circa il 91%–93% di quella anteriore.

Lo studio è stato pubblicato in questi giorni su Joule (testo in inglese).

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