Un gruppo di scienziati in Finlandia ha sviluppato una pellicola trasparente e superidrofobica ispirata alla foglie del porro, in grado di migliorare anche l'efficienza fotovoltaica
Pulizia dei pannelli solari, dall’approccio passivo a quello attivo
Mantenere i pannelli solari sempre puliti è essenziale per ottenere dall’impianto la massima produzione possibile. Polvere e sporco depositati sopra la superficie del modulo riducono inevitabilmente la potenza in uscita, arrivando a sottrarre anche il 50% dall’output originale. Per risolvere il problema esistono diversi approcci o sistemi di pulizia dei moduli fotovoltaici. Uno di questi consiste nel rendere le celle solari autopulenti in maniera passiva attraverso l‘integrazione di speciali pellicole o rivestimenti.
Un esempio su tutti, il film trasparente e superidrofobico realizzato da un team di scienziati dell’Università Aalto in Finlandia. Grazie ad un approccio bio-ispirato, il gruppo ha prodotto una pellicola a base biologica che facilita la pulizia dei moduli, mentre nel contempo aumenta l’efficienza di conversione delle celle.
Cosa è l’effetto Soiling?
L’accumulo di materiale sulle superfici di raccolta della luce nei sistemi solari ha un nome preciso: effetto Soiling. Il nome viene utilizzato per identificare qualsiasi deposito di sabbia, polline, fuliggine, polvere, neve, aerosol e altri contaminanti. Un effetto non da poco dal momento che la sporcizia è in grado di assorbire, riflettere e disperdere parte dell’irraggiamento. E di conseguenza di abbassare la produzione fotovoltaica.
Di quanto? Difficile a dirsi a priori e con precisione. L’effetto Soiling rappresenta un problema sito-specifico, fortemente legato al clima locale. In località temperate con precipitazioni moderate potrebbe determinare perdite del 5 per cento nella produzione elettrica annuale. In condizioni aride e desertiche o in megalopoli particolarmente inquinate è facile raggiungere (e superare) il 40 per cento.
Pulizia Pannelli Fotovoltaici: i rivestimenti autopulenti passivi
Esistono diversi approcci per garantire la pulizia dei pannelli solari. Una delle soluzioni più pratiche e rapide al problema è pre-trattare le celle. Rientrano in questa classe di interventi i rivestimenti autopulenti (“cleaning coating” in inglese), pellicole e materiali applicati direttamente sulle superfici dei moduli per aiutarli a respingere la sporcizia in maniera passiva. L’attuale offerta sul mercato, tuttavia, deve affrontare ancora diverse sfide. A cominciare dalla difficoltà di applicare questi film in maniera che risultino adatti alle caratteristiche sito-specifiche dell’effetto soiling. Non solo.
Devono poter vantare un’ottima trasmittanza ottica – che indica la capacità di un materiale di lasciarsi attraversare dalla luce incidente – per non oscurare lo strato attivo delle celle.
La ricerca di settore ha dimostrato che la combinazione di autopulizia ed elevata trasparenza può essere ottenuta adattando la microstruttura superficiale sullo strato più esterno delle celle solari. Una “rugosità superficiale” contribuisce anche alla cosiddetta foschia che estende il percorso della luce nel materiale fotoattivo, traducendosi in una maggiore efficienza di conversione.
Peccato che avere tutte queste caratteristiche risulti molto difficile. La superidrofobicità associata a un elevato livello di rugosità, solitamente diminuisce la trasparenza.
Le nuove celle solari autopulenti in perovskite
È qui che entra in gioco lo studio dell’Università Aalto. Gli scienziati hanno sviluppato celle solari autopulenti in perovskite integrando un nuovo “strato di gestione della luce” multifunzionale. Nel dettaglio, questo strato è stato realizzato replicando sull’acetato di cellulosa (biopolimero abbondante e rinnovabile) la struttura superficiale delle foglie di porro. E ricoprendo il tutto con cera di carnauba.
Perché proprio il porro? Perché le foglie di questa pianta rivelano una superficie ricoperta da scanalature di dimensioni µm e uno strato di cera epicuticolare in scala nanometrica, in grado di conferirgli una spiccata superidrofobicità. Lo strato bio-ispirato, spiegano gli scienziati, ottiene in questo modo proprietà autopulenti.
Come lo strato idrorepellente aumenta l’efficienza di conversione
L’idrorepellenza superficiale permette di contrastare l’accumulo di sporco sui pannelli fotovoltaici. Ma non si tratta dell’unico beneficio. Lo speciale rivestimento ha anche una funzione ottica. Le nuove pellicole vantano infatti un’elevata trasmittanza totale di circa il 94%. Non solo. Lo strato mostra anche una foschia di circa il 54% alla lunghezza d’onda di 550 nm che contribuisce a migliorare l’efficienza di conversione delle celle del 6 ± 0,3%.
“Abbiamo dimostrato come le strutture superficiali ispirate al porro introducono proprietà ottiche e autopulenti nei film a base di cellulosa, derivati da risorse rinnovabili, rendendoli interessanti per le applicazioni dei pannelli solari”, spiega Hamidreza Daghght Shirazi, ricercatore dell’Università Aalto e co-autore dello studio pubblicato su Communications Materials. “In questo modo, si potrebbero affrontare due sfide significative nell’energia solare: mantenere la pulizia dei pannelli e massimizzare l’assorbimento della luce”.
Altri metodi di pulizia dei pannelli fotovoltaici
Le celle solari autopulenti con rivestimento costituiscono solo uno degli approcci possibili.
La pulizia naturale che sfrutta pioggia e vento per rimuovere lo sporco dalla superficie è sicuramente a più semplice. In questo caso è stato dimostrato che l’angolazione del posizionamento dei pannelli fotovoltaici può influire sull’efficacia della pulizia. Ovviamente la soluzione presenta evidenti limiti.
La pulizia manuale del pannello fotovoltaico attraverso acqua, detersivi, spazzole e panni costituisce un’alternativa ma appare attuabile solo in caso di piccoli impianti.
Le tecniche di pulizia automatizzata solitamente richiedono manodopera, acqua, detergenti, includendo anche robot e dispositivi meccanici controllati da computer. Ovviamente i costi sono elevati.
La pulizia elettrostatica dei pannelli fotovoltaici rappresenta una nuova tecnologia particolarmente adatte alle regioni aride, in cui la risorsa idrica scarseggia e le polveri abbondano. La soluzione impiega un dispositivo chiamato precipitatore elettrostatico che sfrutta la forza della carica elettrostatica per attrarre le particelle di polvere verso gli elettrodi caricati.
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