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La biomassa di scarto dà una mano all’efficienza delle celle ibride in perovskite

Un nuovo polimero ottenuto dalla biomassa può sostituire efficacemente i composti a base di tiofene (d'origine fossile) nella produzione di celle fotovoltaiche in perovskite ad alta efficienza e stabilità

La biomassa di scarto dà una mano all'efficienza delle celle ibride in perovskite

Addio petrolio, benvenuta biomassa di scarto. Le celle solari ibride in perovskite da oggi possono essere ancora più sostenibili senza intaccare le proprie prestazioni. Al contrario ottenendo un plus in termini di stabilità.

Merito degli scienziati della Nanyang Technological University (NTU), a Singapore, creatori di un metodo di fabbricazione semplificato per questa tecnologia con integrazione diretta del precursore. Un processo che permetterebbe di togliere dalla tradizionale ricetta i polimeri a base di tiofene, composto eterociclico aromatico ottenuto da petrolio e carbone. 

Polimeri a base di tiofene a cosa servono?

Per quanti conoscono le celle solari organiche-inorganiche in perovskite, l’impiego del tiofene è cosa nota. I suoi polimeri sono, infatti, utilizzati nella produzione fv con più di uno scopo. Innanzitutto per il miglioramento del trasporto di carica. Polimeri conduttivi come il PEDOT:PSS o il Poli(3-esiltiofene), entrambi a base di tiofene, sono oggi impiegati con strati di trasporto delle lacune o come modificatori di interfaccia.

Ma il composto ha anche un ruolo nel miglioramento della stabilità chimica e fotochimica della perovskite, proteggendola dall’umidità, dall’ossigeno e dalla luce UV. E un ruolo nell’ottimizzazione della sua morfologia, favorendo la formazione di grani più grandi, una migliore connessione tra essi e minori difetti.

Non solo. Alcuni polimeri derivati possono essere facilmente funzionalizzati con gruppi chimici specifici per migliorare ulteriormente le proprietà dello strato attivo.

Il problema principale è che il tiofene è sintetizzato per lo più a partire dal petrolio. Sollevando da un lato interrogativi sulla sua sostenibilità e dall’altro rendendo difficile immaginare una produzione su larga scala. 

Celle ibride in perovskite con PBDF-DFC

Per rendere le celle ibride in perovskite più sostenibili, il team di ricerca della NTU ha impiegato in sostituzione un polimero a base di biomassa ottenuta da scarti agricoli. Il composto in questione si chiama brevemente PBDF-DFC ed è un polimero coniugato a base di furano. Il suo punto di forza?  Mostra un’elevata solubilità nei solventi precursori di perovskite, consentendo l’incorporazione diretta nella soluzione di base. Questo approccio semplifica notevolmente il processo di fabbricazione, riducendo i passaggi e abbassando potenzialmente i costi.

Ma non si tratta dell’unico vantaggio. Durante i test le celle solari ibride a perovskite modificate con PBDF-DFC hanno raggiunto un’efficienza di conversione del 21,39%, un miglioramento del 7,8% rispetto al 19,84% delle unità di controllo. Inoltre, questi dispositivi dimostrano una maggiore stabilità sotto vari stress ambientali, mantenendo il 90% della loro efficienza iniziale dopo oltre 1.100 ore rispetto al 52% dei dispositivi di controllo. 

 La ricerca “Direct Integration of Biomass‐Derived Furan Polymers for Enhanced Stability and Efficiency in Hybrid Perovskite Solar Cells” è stata pubblicata su Advanced Functional Materials (testo in inglese).

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About Author / Stefania Del Bianco

Giornalista scientifica. Da sempre appassionata di hi-tech e innovazione energetica, ha iniziato a collaborare alla testata fin dalle prime fasi progettuali, profilando le aziende di settore. Nel 2008 è entrata a far parte del team di redattori e nel 2011 è diventata coordinatrice di redazione. Negli anni ha curato anche la comunicazione e l'ufficio stampa di Rinnovabili. Oggi è Caporedattrice del quotidiano e, tra le altre cose, si occupa delle novità sulle rinnovabili, delle politiche energetiche e delle tematiche legate a tecnologie e mercato.