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CdS: illegittimo il requisito “potenzialità fotovoltaica” dell’Umbria

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Seppur in attesa del quadro definitivo sulle Aree Idonee, la Regione Umbria non avrebbe potuto esercitare alcun potere sostitutivo rispetto all’autorità statale nell’individuare nuovi criteri per il corretto inserimento degli impianti alimentati rinnovabili sul territorio. Così il Consiglio di Stato si è espresso sulla controversia nata tra l’amministrazione umbra e la società Chiron Energy in merito alla realizzazione di una centrale fotovoltaica nel Comune di Umbertide.

La questione si inserisce direttamente nel complesso discorso politico-normativo che ruota attorno all’installazione dei nuovi impianti FER e al tiro alla fune tra potere centrale e potere locale. Una competizione per ora messa in stand-by dal Decreto ministeriale Aree Idonee del 2024, previsto dal Decreto Legislativo 199/2021 e che ha lasciato alle Regioni il compito di individuare sul proprio territorio e con propria legge 4 tipologie di zone adatte o meno alle FER.

Ma la disputa tra Chiron Energy e l’Umbria è precedente al DM e si colloca nel periodo di “interregno” tra il  D.Lgs 199/2021 e l’atto ministeriale. Oggetto della controversia? La richiesta di autorizzazione unica presentata dalla azienda per la costruzione di un impianto fotovoltaico di  potenza elettrica nominale pari a circa 1.9 MW in area industriale. La Regione Umbria, con due provvedimenti successivi, ha prima dichiarato l’istanza “non ricevibile” nel 2022 e poi ha richiesto integrazioni documentali nel 2023.

Motivi del ricorso di Chiron Energy

La Chiron Energy ha quindi impugnato questi provvedimenti dinanzi al TAR dell’Umbria, sostenendo che l’amministrazione regionale aveva adottato comportamenti illegittimi. Tra i vari punti evidenziati, ha sostenuto che la Regione avesse violato le norme che regolano i tempi e le modalità dei procedimenti amministrativi(in particolare il principio di celerità e di buona fede) e che avesse introdotto requisiti aggiuntivi e non previsti dalla normativa nazionale per l’autorizzazione, ponendo paletti ingiustificati. Paletti come l’obbligo di sottoscrivere apposita convenzione/atto d’obbligo per l’utilizzo dell’area in esame e il requisito della “potenzialità fotovoltaica”, attinente alla superficie massima utilizzabile per la relativa struttura.

Il TAR ha rigettato il ricorso di Chiron Energy che ha quindi presentato appello al Consiglio di Stato. I giudici in questo caso si sono espressi a favore della ricorrente sostenendo che la Regione Umbria avesse introdotto dei requisiti aggiuntivi e non previsti dalla normativa nazionale, limitando ingiustificatamente la possibilità di realizzare l’impianto fotovoltaico.

Si legge nella sentenza:  

da un lato “l’elenco dei documenti che devono essere oggetto dell’istanza è previsto dalla normativa nazionale, la quale può essere ampliata dalle Regioni soltanto con ulteriori richieste rese necessarie dalla normativa di settore e non con ulteriore documentazione che costituisca inutile aggravio procedimentale. Pertanto, la norma regolamentare regionale, laddove prevede questa documentazione ulteriore come requisito di procedibilità, è illegittima e altresì contraria alla normativa comunitaria che impone la semplificazione dei procedimenti autorizzatori in materia di energia rinnovabile” (Cons. di Stato, sez. V, 12 novembre 2013, n. 5417), dall’altro, rimane, appunto, precluso alle Regioni “di provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa (sentenza n. 168 del 2010; in termini simili anche le sentenze n. 106 del 2020, n. 298 del 2013 e n. 308 del 2011), (e) a fortiori… creare preclusioni assolute e aprioristiche che inibiscano ogni accertamento in concreto da effettuare in sede autorizzativa” (Corte Cost. n. 106/2020, n. 286/2019).

In mancanza del Decreto Aree idonee  sottolinea il CdS l’amministrazione regionale non avrebbe potuto esercitare alcun potere sostitutivo, dal momento che sia l’art. 20 del d.lgs. n. 199/2021, quanto l’art. 12 comma 10 del d.lgs n. 387/2003 ammettono un suo intervento regolamentare solo “a valle” di quello dell’autorità statale. I giudici hanno quindi accolto il ricorso, annullando i provvedimenti della Regione Umbria.

Leggi qui la sentenza.

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