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Alessandro Barin: la FuturaSun è già nel futuro

Un’azienda smart guidata da un manager giovanissimo. FuturaSun sta affrontando con determinazione le sfide del mercato globale del fotovoltaico conquistando un ottimo posizionamento. I suoi segreti? Grande attenzione alla qualità e all’efficienza dei moduli, ma quante contraddizioni nel sistema italiano: da una parte l’urgenza della transizione energetica, dall’altra l'ormai famosa burocrazia nostrana che immobilizza numerosi ed utilissimi GW di potenza sulle scrivanie delle Amministrazioni…

di Mauro Spagnolo

(Rinnovabili.it) – A volte in Italia abbiamo importanti storie di eccellenza, ma non ne siamo consapevoli. 

E’ il caso di un giovane imprenditore veneto che ha fondato un’azienda di produzione di moduli e, credendo nell’innovazione tecnologica e nella costante ricerca dell’efficienza, ha velocemente conquistato il mercato globale.

Dott. Barin, la sua è una storia di eccellenza, una storia che ha dell’incredibile: giovanissimo e già produttore di moduli fotovoltaici con una factory a Taizhou, in Cina ed una rete commerciale in Italia. Come è passato da una laurea in Lingue e Cultura Orientale a CEO di FuturaSun?

La mia storia è una storia scandita da passioni che evolvono col passare del tempo: totalizzanti quando fisso un obiettivo, e fino all’obiettivo successivo. 

La passione per le culture straniere mi ha portato a scegliere in un certo momento storico, vent’anni fa, la facoltà di lingue orientali a Venezia, un ateneo che affonda le radici nell’esperienza di Marco Polo. La passione per la lingua cinese, così difficile e lontana, è stata una sfida da cui è nata l’occasione di andare a vivere in Cina, per studio e per intraprendere le prime esperienze di lavoro, orientate a collegare ed avvicinare la cultura italiana a quella cinese. 

Erano anni di grande crescita economica in Cina, e di forte trasformazione industriale in Europa. La passione per la cultura d’impresa è stata una conseguenza naturale. Entrando in contatto con vari contesti multinazionali ne è nata la voglia di approfondire i vari aspetti della supply chain: dalla logistica alla qualità, dall’amministrazione alla finanza, dalla produzione al management, in un contesto estremamente dinamico quale quello cinese, lavorando a stretto contatto con persone ed aziende europee, americane ed asiatiche.      

La passione per il fotovoltaico è arrivata un po’ per caso, quando sono venuti a trovarmi in Cina degli amici veneti, esperti nel settore fotovoltaico. Questa nuova passione mi ha portato a guardare al futuro con un progetto imprenditoriale personale in cui mettere a frutto tutta l’esperienza precedente. Si trattava di dimostrare che c’era spazio per l’eccellenza italiana anche in questo settore così innovativo. Ci siamo buttati e, duro lavoro, dedizione e un po’ di fortuna hanno portato a risultati di cui andiamo orgogliosi. L’azienda a Cittadella, in provincia di Padova, è sempre più strutturata per i mercati internazionali a cui ci rivolgiamo e per il forte impegno nella ricerca e sviluppo. La Gigafactory in Cina, a Taizhou, produce moduli ad alta efficienza proprio nel cuore del distretto fotovoltaico cinese tra i colossi del settore, un esempio ineguagliato.  

La prossima passione si sta affacciando proprio in questi mesi: la transizione energetica in Europa, una nuova sfida che necessita forte determinazione ed una fondata esperienza, per riuscire a trasformarla in un assetto industriale ed economico nuovo. 

futurasun

Che caratteristiche hanno i suoi prodotti e a quale mercato in Italia si rivolgono?

FuturaSun fin dalla sua nascita ha scommesso sull’alta efficienza dei propri moduli fotovoltaici. Per i nostri moduli scegliamo solo materie prime della migliore qualità e di origine tracciabile e le lavoriamo in un processo produttivo altamente automatizzato e controllato. 

La nostra gamma di moduli è completa per tutte le esigenze ed è estremamente diversificata per cogliere tutte le richieste del mercato e per fornire le migliori soluzioni tecniche. 

Nel mercato italiano siamo orientati soprattutto nel settore delle coperture, sia residenziali sia produttive. Su questo fronte abbiamo sviluppato varie soluzioni molto accurate anche dal punto di vista del design. Recentemente abbiamo lanciato i moduli colorati che si integrano perfettamente sui tetti degli edifici storici ma anche sulle facciate degli edifici moderni.

Dal punto di vista tecnologico, ci distinguiamo per la produzione di moduli basati sulla tecnologia IBC (Interdigitated Back Contact). Grazie a questa tecnologia, con i contatti elettrici posti sul retro, l’assorbimento della luce è massimo e non si formano ombre sulla cella. Ad Intersolar abbiamo presentato l’ultimo nato della linea ZEBRA: un nuovo modulo (ZEBRA Pro) che in una dimensione ridotta raggiunge una potenza di 430 Watt e un’altissima efficienza di 21,84%. 

Questa è la linea che stiamo sviluppando e che, ne siamo certi, si affermerà sempre di più in un prossimo futuro. 

Quali sono, a suo avviso, le maggiori difficoltà per lo sviluppo del fotovoltaico nel mercato italiano?

Il mercato italiano del fotovoltaico sta crescendo molto: la domanda è sempre più consistente, è ripartita l’edilizia ed è cresciuta l’attenzione per le energie rinnovabili anche in sede di ristrutturazione. 

Siamo quindi ottimisti che questo trend continui e si consolidi negli anni. È importante, però, che il trend nazionale sia supportato da una politica costante e coerente: bisogna evitare che ci siano inversioni improvvise che determinano blocchi o stalli. Determinante è anche la spinta normativa europea all’installazione obbligatoria sugli edifici nei prossimi anni. 

In termini di potenza installata è vero che all’estero le cose vanno meglio che in Italia (basti pensare che nel 2021 la Spagna ha installato 5 GW, l’Italia 0,9), ma la parte preponderante del divario è costituita da pochi grandi campi fotovoltaici che da soli spostano quote significative di produzione elettrica. È comunque un segmento ben separato rispetto a quello dei moduli fotovoltaici per l’edilizia. Sui grandi impianti infatti scontiamo in Italia una difficoltà strutturale nelle procedure di autorizzazione delle grandi installazioni. 

Di quali difficoltà parla?

Sono opportune alcune riflessioni sull’eccesso di vincoli ambientali e paesaggistici, che devono compenetrare la tutela del nostro museo a cielo aperto con le esigenze energetiche nazionali. A questo proposito il consumo di suolo è un tema fondamentale per l’Italia, ma le soluzioni agrivoltaiche, ad esempio, possono compenetrare uso del suolo e produzione energetica in modo virtuoso.

Infine, ritengo che la cosa più importante sia di lavorare ad una integrazione tra le energie rinnovabili e un coordinamento strategico finalizzato ad adeguare le reti, colmare i deficit territoriali e lo sfasamento della domanda, creare capacità di stoccaggio, adeguare flessibilità di produzione. Un lavoro immane che necessita di tempo, mentre cresce la potenza installata delle diverse fonti rinnovabili. Tempo che non abbiamo, come ci segnalano la crisi energetica internazionale da una parte e la crisi climatica dall’altra.

Quanto, a suo giudizio, si potrà ancora spingere la ricerca dell’efficienza nel settore fotovoltaico?

L’efficienza per i moduli fotovoltaici è tutto, visto che i margini di miglioramento sono ancora amplissimi. 

In questi ultimi dieci anni, a parità di dimensione, il modulo ha accresciuto la sua potenza di 100 Watt. L’attuale ricerca sta portando ad una nuova fase nell’offerta tecnologica: alla scelta tra silicio monocristallino e policristallino, si stanno oggi affiancando soluzioni tandem, celle solari di materiale e tecnologia diverse accoppiate meccanicamente e studiate per raggiungere le massime prestazioni. C’è molta innovazione in questa direzione, anche se al momento non esiste nulla di disponibile sul mercato. Le varie soluzioni andranno a soppiantare l’attuale preponderanza della tecnologia PERC, creando vari segmenti di mercato distinti. I pannelli si differenzieranno in vari mercati paralleli, per dare spazio alle soluzioni TOPCON, IBC, eterogiunzione, perovskite… 

È insomma imminente il momento in cui la differenza tra i moduli FV non sarà più data dal numero puro percentuale dell’efficienza, quanto dalla qualità complessiva del prodotto. Nel 2030 l’efficienza delle celle si avvicinerà al 30%, ma saranno sempre più importanti la durata dell’efficienza nel tempo, la resistenza alle sollecitazioni, alle condizioni esterne, ai rischi di shock… È una fase di evoluzione che porterà ad una competizione stringente e che chiederà anche una competenza crescente da parte della clientela nella scelta del prodotto. 

L‘avvento delle comunità energetiche costituirà una spinta allo sviluppo del fotovoltaico? 

Le CER sono un nuovo e interessante strumento che tuttavia finora in quasi 2 anni di vita si sono mosse solo attraverso alcuni “pionieri” che hanno voluto sperimentare un processo non molto chiaro per la costituzione e la gestione delle stesse. Per lo più si tratta di iniziative pubbliche o di aziende municipalizzate. Si potrebbe dire che si sono fatti più convegni sulle Comunità Energetiche che comunità stesse. Ora sono stati stanziati dei fondi da varie regioni per ovviare alle difficoltà burocratiche il che è un paradosso: fondi pubblici per coprire costi creati dalla complessità di nuove norme pubbliche appena emanate.

Pertanto, prima che le CER diventino un traino al fotovoltaico saranno necessari molti aggiustamenti normativi e una maggiore apertura agli operatori privati. Ci auguriamo che questo avvenga perché siamo convinti che le Comunità Energetiche siano soluzioni innovative e sostenibili, dal punto di vista ambientale, economico ma soprattutto sociale.  

 Se dipendesse da lei, cosa cambierebbe nel sistema nazionale per raggiungere gli obiettivi climatici del nostro Paese?

Il corpus normativo italiano è già molto vasto e non sono necessarie ulteriori norme. 

Andrebbero invece aggiunte solo poche parole nelle leggi esistenti ovvero “decorsi i termini si intende applicato il silenzio assenso”. Esistono infatti GW di progetti, da piccoli a grandi impianti che, pur rispettando tutti i molti passaggi formali richiesti, non ottengono nessuna autorizzazione e si trovano in un limbo per uscire dal quale l’unica strada è adire alle vie legali con ulteriore dilatazione dei tempi e aumento dei costi. Se un Ente non è in grado di rispettare i tempi per le risposte, siano esse anche di 12 mesi, va attuato il silenzio assenso. Non serve togliere vincoli o ideare altre strade autorizzative nazionali. 

È incredibile che in un momento storico in cui gli obiettivi climatici coincidono con quelli economici e di sicurezza nazionale non si attui immediatamente la politica del silenzio assenso.