Dall’arrivo in Italia 4 anni fa, la compagnia norvegese che oggi è il più grande produttore di energia rinnovabile d’Europa ha scelto di puntare sull’integrazione tra agricoltura e fotovoltaico. Sfide energetiche (e culturali), idee per innovare e rapporto profondo con i territori sono i temi al centro dell’operato di Statkraft Italia. Lo racconta Giulio Cassai, Italy Solar Director dell’azienda che ha in pipeline 1,5GW di progetti, al 90% agrivoltaici
Articolo in collaborazione con Statkraft
(Rinnovabili.it) – Una pipeline di impianti fotovoltaici in fase di autorizzazione di circa 1,5 GW, in tutto una trentina di progetti. Di cui il 90% è imperniato sull’agrivoltaico. Ma sono 4 i GW di progetti con connessione tra tutte le tecnologie già accettata da Terna e Enel Distribuzione. Il tutto distribuito su 10 regioni italiane da nord a sud: dalla Puglia al Piemonte, dalla Lombardia alla Basilicata, passando per Veneto, Emilia-Romagna, Sardegna, Abruzzo, Molise, Lazio e Campania. In queste ultime due gli impianti vedranno la luce già l’anno prossimo. I primi a diventare operativi per Statkraft Italia, diramazione italiana della compagnia norvegese fondata nel 1895 e oggi il più grande produttore di energia rinnovabile d’Europa.
Una scelta precisa di Statkraft Italia, quella di puntare, nel contesto nazionale, soprattutto sull’integrazione tra agricoltura e fotovoltaico. Maturata fin dal suo sbarco nel Belpaese nel 2019. A raccontare progetti e visione dell’azienda a Rinnovabili.it è Giulio Cassai, Italy Solar Director.
Perché l’agrivoltaico è al centro della vostra strategia?
Se l’Italia vuole raggiungere gli obiettivi al 2030 fissati dal nuovo PNIEC, cioè 57 GW di fotovoltaico, c’è bisogno di usare anche terreni agricoli. Anche togliendo la quota di impianti rooftop, quella che può essere coperta dalle comunità energetiche e dai progetti su terreni industriali resta una parte sostanziale del target da realizzare con impianti a terra. Quando siamo arrivati in Italia nel 2019 ci siamo dati questa bussola: integrarci nel territorio e fare in modo che i terreni continuino a essere produttivi.
La maggior parte dei vostri progetti consiste in agrivoltaico base, a terra. Non l’agrivoltaico avanzato.
Ci sono due temi. Il primo è il consumo di suolo. Molti enti locali intendono il fotovoltaico a terra come un impianto con una recinzione all’interno della quale parrebbe non succedere nulla, consumando di fatto terreno agricolo. C’è quindi il timore della perdita di produzione, di lavoro, delle tante colture di pregio di cui l’Italia abbonda. Ma le cose sono cambiate negli ultimi anni con il concetto di agrivoltaico.
Spesso però gli enti locali continuano a percepirlo come un fattore dietro il consumo di suolo, anche se reversibile.
Alcune regioni sembrano avere intrapreso la strada dell’equiparazione dell’agrivoltaico base al fotovoltaico. In realtà ci sono diversi studi che dimostrano che molti fattori possono migliorare grazie all’agripv: sta a noi doverli spiegare. Ci riferiamo all’efficienza d’uso dell’acqua e riduzione dell’evapotraspirazione (traspirazione è la respirazione delle piante, evaporazione è la respirazione del suolo) oltre a migliorare la biodiversità. Dobbiamo fare un po’ di autocritica come settore, finora non siamo stati capaci di comunicare in modo efficace le differenze tra i due sistemi, che poi sono due approcci che possono perfettamente coesistere.
L’altro tema?
È quello dei costi e quindi degli incentivi. Mi spiego: il nostro obiettivo è essere protagonisti della transizione energetica. Come si fa? Portando progetti di energia pulita, collegati alla rete, che permettano di produrre energia elettrica ad un costo ragionevole abbassando, perciò, il costo dell’energia per tutti gli italiani. Ma se vogliamo davvero abbassare le bollette non abbiamo bisogno di incentivi, abbiamo bisogno che si costruiscano gli impianti utility-scale. Per questo serve l’agrivoltaico a terra. Servono impianti con costi di realizzazione e manutenzione contenuti.
Gli incentivi servono proprio per aggirare questa barriera.
Puntare esclusivamente o quasi sull’agrivoltaico avanzato obbliga a ricorrere agli incentivi. Dobbiamo farci alcune domande. Chi paga gli incentivi? Come facciamo a fare la transizione ecologica se dobbiamo continuare a prendere incentivi nel 2023? In più gli impianti incentivati devono essere collegati entro giugno 2026. E dopo che succede? Bisognerà di volta in volta cercare altri programmi incentivanti. Non raggiungeremo gli obiettivi del PNIEC con questi strumenti, anche se hanno una loro utilità soprattutto per gli operatori del settore agricolo interessate. Poi, capisco che laddove ci sono certe colture di pregio si preferisca l’agripv avanzato. Ma dove si coltiva erba medica e cerealicole? Tra l’altro, probabilmente con l’agripv la resa aumenterebbe. Noi, come Statkraft Italia vorremmo realizzare impianti concepiti e costruiti bene affinchè davvero producano e portino nel tempo i frutti e i benefici attesi.
Però purtroppo i permessi hanno ancora un iter tortuoso. Le semplificazioni introdotte aiutano?
Dal ’17 al ’22 sono stati autorizzati 5 GW di fotovoltaico, 1 l’anno. Ne dobbiamo installare altri 57 al 2030, più di 7 l’anno. Ci dobbiamo concentrare su come raggiungere questo target. Aree idonee, Fer X, Burden Sharing: speriamo che queste iniziative legislative permettano di fare un po’ di chiarezza. C’è ancora una fase di impasse importante a livello autorizzativo. Il testo unico in materia di energie rinnovabili che è in agenda è uno sviluppo positivo.
Nel frattempo state testando soluzioni innovative?
A inizio 2024 entrerà in funzione un impianto pilota di piccola taglia, poche centinaia di kW, dove, grazie a una convenzione con l’Università di Bari, valuteremo l’impatto sulle colture (stiamo definendo il piano agronomico, ma saranno colture tipiche del territorio pugliese), i tipi di macchinari che possono operare nell’impianto, la sensoristica per l’agricoltura 4.0, diverse soluzioni di ombreggiamento. L’innovazione innerva tutte le nostre attività.
In che modo?
Nel nostro team Solar abbiamo inserito specialisti in agronomia e in filiera alimentare. Sia per comprendere cosa ha senso in base ai singoli territori, sia per valutazioni sull’impatto del cambiamento climatico. In alcuni progetti, soprattutto nel Sud Italia, stiamo già proponendo delle colture sperimentali per capire se possono essere implementate nuove soluzioni per un miglior adattamento al climate change. Poi ci sono progetti che toccano i temi dell’inquinamento e delle eccellenze del territorio.
Ci spieghi.
A fine 2022, ad esempio, abbiamo presentato al MASE un progetto agrivoltaico da 20 MW in area SIN a Taranto. L’idea è coltivare colture oleaginose energetiche per rigenerare il terreno e allo stesso tempo idonee alla produzione di biofuel. Puntiamo anche all’integrazione con la zootecnia: in Sardegna abbiamo progetti per preservare la razza ovina Sarda, sempre in Puglia un progetto per reintrodurre la pecora Gentile di Puglia in un’area dove la pastorizia è scomparsa. Non sono gli unici vantaggi dell’agrivoltaico.
Quali altri progetti portate avanti?
Potrei citare un uliveto intensivo in partnership con una primaria azienda olearia italiana, o un progetto che migliora la circolarità producendo foraggio biologico per le bufale del proprietario del terreno. D’altronde negli impianti non possiamo usare nessun prodotto chimico, quindi l’agripv si presta particolarmente all’integrazione con il biologico. E migliora la tutela della biodiversità creando ecosistemi vivibili per insetti, a partire dalle api, e altri animali danneggiati dal ricorso alla chimica. E poi, oltre all’ambiente, ci sono anche risvolti sociali positivi.
Quali?
Cerchiamo di sviluppare un rapporto col territorio tale per cui il nostro agrivoltaico contrasti l’abbandono dei terreni da parte degli agricoltori e produca opportunità per le generazioni future. In più, gli impianti agripv hanno un sistema di controllo degli accessi. Permetterà di migliorare sotto il profilo della regolamentazione del lavoro agricolo all’interno degli impianti rendendo l’intera filiera delle colture tracciabile anche sotto il profilo delle risorse umane. Inoltre, all’interno dei progetti, saranno predisposte specifiche aree per realizzare sia attività didattiche educative sia attività di coinvolgimento di categorie con disabilità.
(l.m.)