Rinnovabili

100% Rinnovabili (senza miracoli): la transizione spiegata da Mark Jacobson

100% Rinnovabili (senza miracoli): la transizione spiegata da Mark Jacobson
100% Rinnovabili (senza miracoli): la transizione spiegata da Mark Jacobson

Quali tecnologie e quali politiche ci servono per una transizione verso 100% rinnovabili?

Una transizione globale dei sistemi energetici verso 100% rinnovabili è già possibile con le tecnologie esistenti. L’elettrificazione, combinata con l’energia eolica, solare e idroelettrica, può eliminare la dipendenza dai combustibili fossili. Senza dover ricorrere a soluzioni ipotetiche come il nucleare, compresi i reattori nucleari modulari di piccola taglia (Small Modular Reactors, SMRs), o la cattura e lo stoccaggio del carbonio (Carbon Capture and Storage, CCS). Il tutto riducendo contemporaneamente i costi, le emissioni e i rischi ambientali.

Questo è il messaggio chiave che Mark Jacobson condivide nel suo libro del 2023 No Miracles Needed: How Today’s Technology Can Save Our Climate and Clean Our Air, di cui è prevista una versione aggiornata nel 2025. Nel volume, il professore di ingegneria civile e ambientale della Stanford University analizza le tecnologie non necessarie, ma su cui molti governi e aziende stanno puntando.

Rinnovabili ha intervistato il professor Jacobson, uno dei massimi esperti globali in materia di energia e clima, sui suoi modelli di transizione energetica e sui piani per raggiungere un sistema basato al 100% sulle energie rinnovabili.

Nel suo libro “No Miracles Needed”, lei sottolinea che abbiamo già tutte le tecnologie necessarie per una transizione completa alle rinnovabili. Quali sono le principali sfide tecniche?

Circa il 97% delle tecnologie necessarie è già disponibile. Il restante 3% riguarda principalmente il trasporto a lunga distanza, come aerei e navi, che possono essere alimentati con celle a combustibile a idrogeno. Per gli edifici, abbiamo pompe di calore elettriche, piani cottura a induzione e illuminazione a LED. Una sfida significativa è l’infrastruttura di trasmissione: le normative urbanistiche rendono difficile la costruzione di nuove linee elettriche, e nelle aree a rischio incendi interrarle è molto costoso.

Il professor Mark Jacobson

Tuttavia, l’energia solare distribuita, in particolare il fotovoltaico sui tetti, aiuta a ridurre la domanda sulla rete e favorisce l’autosufficienza energetica locale.

Un’altra sfida è l’espansione dei sistemi di accumulo energetico. Sebbene le batterie stiano avanzando rapidamente, altre soluzioni come l’idrogeno verde, in combinazione con le batterie per il backup elettrico e i mattoni refrattari per il calore industriale, devono essere prodotte su larga scala. Inoltre, è necessaria una rete di ricarica più diffusa per supportare i veicoli elettrici, soprattutto in aree dove l’adozione è ancora lenta. Un ostacolo importante è anche la resistenza sociale: molte persone sono legate ai veicoli a combustione interna e riluttanti a passare ai veicoli elettrici a batteria. Espandere la rete di ricarica e aumentare la consapevolezza dei consumatori è fondamentale per superare questa sfida.

E per l’industria pesante? Molti la considerano un settore “hard to abate”.

È un’idea sbagliata. I processi industriali ad alta temperatura possono essere elettrificati con forni a resistenza, forni ad arco, riscaldamento a induzione e riscaldatori dielettrici. I mattoni refrattari, che possono immagazzinare calore fino a 2.000°C, rappresentano una soluzione economica e durevole. Realizzati con materiali naturali, questi mattoni possono accumulare l’elettricità in eccesso prodotta da fonti rinnovabili e rilasciare calore quando necessario, sostituti ideali per i forni alimentati da combustibili fossili. Il loro costo di accumulo energetico per chilowattora è circa un decimo rispetto alle batterie e possono durare indefinitamente senza degradarsi.

Per le emissioni derivanti da reazioni chimiche e non termiche in fase di produzione di acciaio e cemento, ci sono soluzioni efficaci. Per l’acciaio, l’uso dell’idrogeno verde al posto del carbone elimina completamente le emissioni di CO2. Nella produzione di cemento, un’innovazione chiave è sostituire la calcite (CaCO3) con il basalto, che fornisce il calcio necessario senza rilasciare CO2. Inoltre, il cemento geopolimerico rappresenta un’alternativa promettente per eliminare del tutto le emissioni.

L’idrogeno viene spesso presentato come una soluzione chiave per la decarbonizzazione. Quale ruolo dovrebbe realmente avere?

L’idrogeno è utile, ma il suo ruolo dovrebbe essere limitato ad applicazioni specifiche dove l’elettrificazione diretta non è possibile. Gli usi più adatti includono la produzione di acciaio verde, la sintesi di ammoniaca, il trasporto a lunga distanza (soprattutto per aerei e navi) e lo stoccaggio di elettricità di backup in alcune situazioni. Tuttavia, l’idrogeno non è una soluzione efficiente per la maggior parte delle applicazioni di trasporto e riscaldamento.

Per il trasporto su strada, i veicoli passeggeri a celle a combustibile a idrogeno (FCEV) sono significativamente meno efficienti rispetto ai veicoli elettrici a batteria (BEV). La produzione, compressione e trasporto dell’idrogeno, oltre alla sua successiva conversione in elettricità, richiedono molta più energia rispetto all’uso diretto dell’elettricità nelle batterie. Un veicolo a idrogeno necessita di circa 3-4 volte la quantità di energia rinnovabile per percorrere la stessa distanza di un veicolo elettrico a batteria. Inoltre, gli FCEV dipendono da un’infrastruttura complessa e costosa per la produzione e il rifornimento di idrogeno, rendendoli meno competitivi economicamente rispetto alla rete di ricarica per i veicoli elettrici, che si sta espandendo rapidamente.

L’idrogeno presenta anche sfide legate allo stoccaggio e alle perdite. Essendo una molecola molto piccola, l’idrogeno fuoriesce facilmente dalle tubature, causando perdite di efficienza e potenziali rischi per la sicurezza. Quando viene miscelato con il gas fossile per il riscaldamento domestico, il tasso di dispersione può essere significativamente più alto rispetto a quello del gas fossile, rendendo l’idrogeno una soluzione impraticabile e inefficiente per l’uso domestico. Inoltre, la combustione dell’idrogeno nelle abitazioni o nelle industrie genera ossidi di azoto (NOx) e ossidi di idrogeno (HOx), che contribuiscono all’inquinamento atmosferico.

Anche il ruolo dell’idrogeno nello stoccaggio dell’elettricità è limitato. Sebbene le celle a combustibile a idrogeno possano servire come riserva a lungo termine, insieme all’energia idroelettrica esistente e alle nuove batterie, in alcune regioni l’idroelettrico e le batterie sono sufficienti senza necessità di idrogeno. Nella maggior parte dei casi, l’idrogeno verde dovrebbe essere riservato alla produzione di acciaio e ammoniaca e al trasporto a lunga distanza, ma non per il riscaldamento degli edifici, il calore industriale o i veicoli passeggeri.

Alcuni paesi, tra cui l’Italia, stanno rivalutando l’energia nucleare. Perché sostiene che non sia necessaria?

Il nucleare è troppo lento e costoso. I piccoli reattori modulari (SMR) non sono ancora commercialmente praticabili, e i reattori tradizionali richiedono dai 17 ai 23 anni per essere costruiti in Europa. Anche in Cina, il paese che sviluppa il nucleare più rapidamente al mondo, nel 2024 sono stati aggiunti solo 3,9 GW di capacità nucleare, a fronte di 370 GW di eolico, solare e idroelettrico.

Gli SMR, spesso promossi come una soluzione più veloce ed economica, presentano molte delle stesse problematiche dei reattori tradizionali: costi elevati, lunghi iter di approvazione normativa e problemi irrisolti nella gestione dei rifiuti. Nessun SMR è stato costruito su scala commerciale e, anche se venissero approvati oggi, ci vorrebbe almeno un decennio per renderli operativi.

Un altro problema rilevante è che il nucleare non è a emissioni zero. L’intero ciclo di vita dell’energia nucleare (estrazione, raffinazione, costruzione e gestione dei rifiuti) genera emissioni. L’impatto in termini di CO2 equivalente della costruzione di reattori nucleari è da 9 a 37 volte superiore a quello dell’energia eolica per ogni kilowattora di elettricità prodotta. La metà di questo impatto deriva dai lunghi tempi di costruzione, che possono richiedere da 7 a 10 anni, durante i quali vengono emesse significative quantità di CO2 dalla rete elettrica. L’altra metà proviene dalla costruzione stessa dei reattori e dall’energia necessaria per estrarre e raffinare l’uranio, operazioni che devono essere svolte per tutta la durata della centrale nucleare. Nel caso dei reattori Vogel in Georgia, le emissioni generate durante la costruzione sarebbero state equivalenti a quelle sufficienti per costruire un marciapiede che va da Miami a Seattle, attraversando diagonalmente l’intero territorio degli Stati Uniti.

Al contrario, gli impianti eolici e solari possono essere realizzati molto più rapidamente e a una frazione del costo.

Come si garantisce la stabilità della rete senza nucleare?

L’obiettivo non è fornire “energia di base”, ma bilanciare domanda e offerta. L’eolico e il solare possono essere stabilizzati con batterie, idroelettrico, pompaggio idroelettrico e gestione della domanda. La diversificazione geografica aiuta a ridurre la variabilità: collegare parchi eolici su un’ampia area rende la produzione più stabile.

L’eolico garantisce parte del carico di base quando si collegano impianti su ampie regioni geografiche. Abbiamo condotto uno studio nel 2007: interconnettendo parchi eolici sparsi su un’area di circa 400 chilometri nelle Grandi Pianure degli Stati Uniti, è possibile trasformare completamente l’energia eolica intermittente in una fonte di energia che ha circa il 33-47% dell’affidabilità di una centrale a carbone. Quindi, il vento diventa parzialmente una fonte di carico di base.

L’energia geotermica avanzata è un’altra soluzione promettente, con costi previsti in calo fino a 0,08 $/kWh entro il 2027, rendendola competitiva con i combustibili fossili (0,1 $/kWh). Questa tecnologia sfrutta il calore situato in profondità nella Terra. E’ particolarmente preziosa poiché fornisce energia costante e può essere implementata in molte località in tutto il mondo.

100% Rinnovabili (e senza miracoli): la transizione spiegata da Mark Jacobson
Rappresentazione di un sistema energetico 100% rinnovabili. immagine generata con IA

Alcuni temono che un sistema completamente rinnovabile non sia resiliente. Come possiamo garantirne l’affidabilità?

La transizione avviene gradualmente, con sistemi di backup attivi durante il processo. L’affidabilità della rete in California è migliorata con l’aumento delle energie rinnovabili. Tra marzo e giugno 2023 rispetto al 2024, ad esempio, la produzione solare è aumentata del 31%, quella eolica dell’8% e la capacità di accumulo delle batterie è raddoppiata. Di conseguenza, l’uso del gas fossile è diminuito del 40% e i prezzi spot dell’elettricità sono scesi del 52%, dimostrando che le rinnovabili migliorano la stabilità della rete.

Le batterie rispondono in 20 millisecondi, superando di gran lunga le centrali a gas, che impiegano 300 secondi per attivarsi. Quindi, in realtà, il gas è più lento nel soddisfare la domanda. Inoltre, per garantirne la disponibilità, è necessario mantenerlo in funzione, con conseguente inquinamento continuo, mentre le batterie possono essere accese e spente a piacimento.

Passando alla politica: le guerre commerciali tra Stati Uniti e Cina potrebbero rallentare la transizione?

Se raggiungiamo il 100% di energia da vento, acqua e sole, l’indipendenza energetica elimina la vulnerabilità ai dazi. Al momento, i dazi sul Messico potrebbero far aumentare immediatamente i prezzi della benzina negli Stati Uniti, ma con una flotta completamente elettrica, questa volatilità scompare.

La transizione alle rinnovabili migliora la sicurezza energetica, riduce i costi e crea posti di lavoro: è una situazione vantaggiosa per tutti. Le politiche protezionistiche potrebbero rallentare la transizione aumentando il costo delle tecnologie chiave, ma le tendenze a lungo termine favoriscono l’espansione dell’energia pulita.

Cosa succederà all’Inflation Reduction Act (IRA) con Trump?

È incerto. Durante il suo primo mandato, Trump non ha eliminato gli incentivi fiscali esistenti per solare ed eolico, e molti stati a guida repubblicana beneficiano dell’IRA. Dato che i Repubblicani hanno solo una maggioranza risicata al Congresso, grandi cambiamenti potrebbero essere difficili. Tuttavia, se l’IRA venisse abrogato, gli investimenti nell’energia pulita probabilmente continuerebbero a livello statale, come è successo durante il primo mandato di Trump.

L’IRA ha già stimolato investimenti in nuove strutture di produzione e creato posti di lavoro. Le industrie del solare e dell’eolico impiegano molte persone, e diversi stati si opporrebbero a politiche che minacciano questi settori in crescita. Resta da vedere quanto un eventuale ridimensionamento possa rallentare i progressi.

La diplomazia climatica è praticabile senza la leadership degli Stati Uniti?

Sì. Il mondo sta andando avanti comunque. La Cina ha installato 370 GW di rinnovabili nel 2024, superando di gran lunga gli Stati Uniti, che ne hanno installati circa 40 GW. Anche all’interno degli Stati Uniti, stati come il South Dakota (110% di rinnovabili rispetto alla domanda) e l’Iowa (80%) stanno facendo la transizione grazie agli incentivi economici, piuttosto che per politiche federali. La transizione energetica sta avvenendo con o senza l’azione del governo federale.

La cooperazione internazionale resta cruciale, ma molti paesi stanno riconoscendo i benefici economici e di sicurezza dell’energia rinnovabile, indipendentemente dalle politiche statunitensi. Il passaggio globale alle rinnovabili è guidato dalla riduzione dei costi e dall’urgenza di affrontare il cambiamento climatico.

Alcuni sostengono che l’Europa abbia accelerato troppo la transizione energetica, danneggiando la competitività industriale. Condivide questa opinione?

No. La transizione della Cina è molto più veloce. Ha aggiunto il 3,5% di capacità rinnovabile in un solo anno e, se elettrificasse completamente tutti i settori a combustione, sarebbe ancora sulla buona strada per raggiungere il 100% di energia pulita e rinnovabile entro il 2046. La maggior parte dei paesi si sta muovendo troppo lentamente, non troppo velocemente. Un tasso di crescita annuale del 5% sarebbe l’ideale.

Le preoccupazioni sulla competitività industriale dovrebbero essere affrontate con politiche mirate, come sussidi per le tecnologie pulite e un rafforzamento della filiera produttiva delle rinnovabili. Il costo dell’inazione, come danni climatici in aumento, insicurezza energetica e opportunità economiche mancate, supera di gran lunga le sfide a breve termine di una rapida decarbonizzazione.

Exit mobile version