La lotta alla povertà energetica e l’azione climatica possono correre sullo stesso binario senza intralciarsi o richiedere compromessi. I ricercatori IIASA spiegano il perché
Un nuovo studio analizza il fabbisogno energetico di base nei Paesi in via di sviluppo
(Rinnovabili.it) – Garantire a tutta la popolazione il giusto fabbisogno energetico per condurre una vita dignitosa non rappresenta né un freno né una criticità per la lotta climatica. A dimostrarlo è la nuova ricerca IIASA, la prima separare gli sforzi per sconfiggere la povertà energetica dalla crescita della domanda di elettricità e calore. Non solo: è anche la prima ad aver fornito gli strumenti necessari per mettere in relazione le esigenze di base direttamente con l’uso delle risorse nazionali.
Lo studio – pubblicato su Nature Energy (testo in inglese) – parte dall’analisi di due degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda ONU 2030: le misure di contrasto ai cambiamenti climatici (SDG13) e all’accesso universale all’energia (SDG 7). Oggi sappiamo che la domanda energetica mondiale, sotto la nuova spinta demografica, è destinata ad aumentare progressivamente. I Paesi devono riuscire a soddisfare i bisogni primari dei propri cittadini ma, nello stesso tempo, devono ridurre drasticamente le emissioni. La domanda che nasce spontanea è: sarà possibile fornire a tutti il fabbisogno energetico senza ostacolare la stabilizzazione del riscaldamento globale?
“Le persone si sono a lungo preoccupate che lo sviluppo economico e la mitigazione del clima non siano compatibili – commenta Narasimha Rao, ricercatore IIASA e autore principale dello studio – che la crescita necessaria per portare miliardi di persone fuori dalla povertà energetica renderebbe impossibile ridurre le emissioni nette a zero. Fino ad ora, tuttavia, la comunità di ricerca non ha avuto modo di separare il fabbisogno energetico per sradicare la povertà, dalla crescita della domanda complessiva dei paesi. Senza di ciò, sono state ignorate le grandi disparità e i modelli di consumo insostenibili nei paesi in via di sviluppo”. Il lavoro si è concentrato su tre nazioni in particolare –Brasile, India e Sudafrica – valutando quali requisiti materiali stessero sostenendo i bisogni umani di base e in che modo le risorse energetiche, necessarie per soddisfare queste esigenze, variassero in contesti diversi (ad esempio, clima o cultura) all’interno di ciascuna di esse. I ricercatori hanno così scoperto che il fabbisogno energetico per fornire standard di vita dignitosi a tutta la popolazione, nei tre paesi scelti, è ben al di sotto del loro attuale consumo nazionale di energia, e anche molto al di sotto della media globale dell’energia pro capite.
“Non ci aspettavamo che il fabbisogno energetico per una vita minimamente decente sarebbe stato così modesto, anche per paesi come l’India in cui esistono grandi lacune. È stata anche una piacevole sorpresa che i bisogni umani più essenziali legati alla salute, all’alimentazione e all’istruzione, sono economici in termini di energia” afferma Rao. “Lungo la strada, abbiamo anche scoperto che misurare la povertà in termini di privazioni materiali supera di gran lunga la definizione di povertà economica della Banca mondiale”.
I risultati indicano inoltre che la ricchezza, più che i bisogni di base, sta guidando la domanda energetica e che la maggior parte della futura crescita in questi paesi probabilmente servirà le classi medie e benestanti. Ciò suggerisce che si dovrebbe prestare molta attenzione agli stili di vita e al modo in cui si evolvono nei paesi in via di sviluppo. I ricercatori sottolineano anche come le economie emergenti abbiano esigenze di risorse diverse per raggiungere gli stessi obiettivi di sviluppo umano. Il Brasile, ad esempio, ha un’intensità energetica relativamente elevata nella mobilità a causa di un’elevata dipendenza dalle automobili. Queste differenze, comportano costi e sfide diversi per ridurre le emissioni di gas serra rispetto all’innalzamento della qualità della vita dei cittadini al di sopra di uno standard di base.
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