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Minieolico a rischio estinzione. CPEM è in prima linea per difendere la micro-generazione

minieolico

 

 

(Rinnovabili.it) – La bozza di decreto cosiddetto FER1, nella versione elaborata dal MISE e approvata dal MATTM può essere considerata, così come proposta nell’ultima versione, la pietra tombale della micro-generazione elettrica. Il disconoscimento del contributo di minieolico, mini idroelettrico ed in generale delle fonti rinnovabili di piccola taglia, universalmente riconosciute come pilasti della generazione elettrica diffusa, appare in palese contraddizione con le posizioni favorevoli espresse in passato dal M5S, peraltro confermate nel programma di Governo che si impegnava a “sostenere “green-economy”, ricerca, innovazione e formazione per lo sviluppo del lavoro”, ingredienti presenti nella micro-generazione più di quanto non lo siano nelle energie mature di grande taglia come fotovoltaico ed eolico.

Per il minieolico, ad esempio, l’industria nazionale ha consentito nell’ultimo decennio la creazione di decine di qualificati costruttori e componentisti che hanno prodotto, grazie al significativo impegno in R&S, aerogeneratori con caratteristiche tecnologiche apprezzate in tutto il mondo. E’ nata così una filiera industriale italiana sostenuta da oltre tremila occupati e, soprattutto, un mercato di alcune migliaia di impianti di piccoli e medi investitori che nel 2017 vantava una potenza installata pari a circa un terzo dell’intero settore eolico.

La vivace domanda del minieolico, caratterizzata da un trend di crescita con tassi a due cifre negli ultimi anni, si è bruscamente arrestata nel corso di quest’anno a causa del vuoto normativo e, ancor più, dell’impianto della bozza del nuovo decreto che sentenzia la fine delle energie di piccola taglia, bollate come inefficienti.

 

Le installazioni di impianti minieolici di taglia 20 e 60 KW nel nostro paese sono drammaticamente passate dalle circa 2.000 unità con potenza vicina ai 110 MW nel 2017 a una quarantina di impianti con potenza di circa 1MW nei primi nove mesi dell’anno in corso. Una vera e propria debacle!

Rispetto all’impostazione dei precedenti decreti riguardanti le rinnovabili, a dispetto delle raccomandazioni dell’Unione Europea, con la nuova bozza del decreto, cade la protezione dell’accesso diretto, si introduce una competizione insostenibile nell’ambito di registri dove nello stesso gruppo si pretende che concorrano, ad armi pari, eolico e fotovoltaico, fonti di piccola e media potenza. Si riducono le tariffe, impropriamente indifferenziate per aerogeneratori di taglia da 1 a 100 KW, con incentivi ridotti di oltre il 20% rispetto a valori già tagliati del 30% appena un anno fa, con l’ulteriore sacrificio volontario fino al 30% se si vuole avere l’improbabile chanche di entrare in posizione utile nei registri. Si arriva persino ad introdurre un meccanismo di tutela della fonte più debole rispetto a quella predominante nell’ambito dello stesso gruppo, limitandone l’applicazione ai soli grandi impianti che accedono alle aste.

 

Un accanimento spiegabile solo con una visione del MISE affetta da forti pregiudizi di inefficienza ed irrilevanza della micro-generazione, ereditato dal precedente governo che nella SEN varata nel 2017 dal ministro Calenda, a proposito dei piccoli impianti, aveva scritto che “la frammentazione tariffaria ha avuto come conseguenza uno scarso stimolo alla riduzione dei costi e ha dato luogo a volte a comportamenti inefficienti, basati sulla ricerca della miglior tariffa anche a scapito dell’efficienza complessiva (es.: proliferazione minieolico anche in localizzazioni scarsamente produttive)”.

Per quanto riguarda il minieolico, nella posizione dei tecnici del ministero, viene palesemente scambiata la causa con l’effetto: più che l’inadeguatezza dei siti prescelti,  è stata proprio la miope politica di non differenziazione delle tariffe tra impianti nuovi e impianti rigenerati, da sempre contrastata dal CPEM, associazione dei produttori e dei costruttori di macchine, ad aver consentito una selvaggia proliferazione di impianti di bassa qualità, inefficienti e frequentemente inattivi. I dati di ventosità rilevati dal GSE, se letti acriticamente, evidenziano effettivamente valori mediamente inadeguati del parco minieolico nazionale: un’analisi attenta dei dati, una volta escluse le insufficienti o addirittura inesistenti produzioni del parco degli impianti rigenerati, rileverebbe infatti performance di impianti nuovi di fabbrica di tutto rispetto, fino a punte di eccellenza, ottimale combinazione di siti ventosi e validi aerogeneratori nuovi di fabbrica.

A smentire il pregiudizio di inefficienza ed immobilismo tecnologico del settore del minieolico in tema di riduzione dei costi degli impianti, occorre ricordare che, a fronte della riduzione del 30% della tariffa introdotta dall’ultimo decreto a metà dello scorso anno,  gli operatori nazionali si erano attrezzati per tempo immettendo sul mercato una nuova generazione di turbine con prestazioni ancora maggiori e costi specifici ridotti.

 

Il 25 settembre scorso, nell’unica occasione di incontro delle associazioni delle rinnovabili con il sottosegretario Crippa, il presidente del CPEM Buonfrate aveva avanzato alcune proposte che, accogliendo la sfida dell’abolizione dell’accesso diretto e del confronto con altre fonti dello stesso gruppo, consentissero a minieolico e mini idroelettrico, di ritagliarsi un proprio difendibile segmento di sopravvivenza.

La nuova bozza uscita dal MISE e dal MATM, ha totalmente ignorato tali richieste: a nulla sono serviti gli appelli sull’esiguità delle risorse assorbite  in caso di approvazione delle richieste del CPEM, nè l’aver rimarcato le drammatiche ripercussioni sociali per la fine del settore e l’inevitabile dissesto delle imprese.

 

Ad alimentare qualche speranza di un cambio di marcia a favore della micro-generazione  sono le parole del ministro Di Maio in un incontro con gli imprenditori palermitani lo scorso 24 novembre a Brancaccio. Sollecitato da un imprenditore siciliano del settore del minieolico, associato CPEM, che denunciava il ritardo di oltre un anno del Decreto e il rischio di azzeramento  del settore delle piccole energie rinnovabili il ministro, difendendo l’attuale impostazione del decreto, chiariva che “con la procedura della commissione europea saremmo andati oltre dicembre e tante aziende non avrebbero avuto nessuna chiarezza, né soldi. Ho fatto questa scelta: cercare di migliorare un decreto che era osceno perchè finanziava soltanto i grandi gruppi e indeboliva i piccoli”. Poi a proposito di voler lavorare, dal prossimo gennaio, su un nuovo modello di incentivi per le piccole imprese, aggiungeva: ”sto riparametrando gli strumenti come fondo di garanzia, super e iper ammortamento, industria 4.0 per le piccole imprese e lo stesso voglio fare con gli incentivi per le rinnovabili, prima possibile, con modifiche normative e con altre linee di intervento”.

L’ultimo passaggio sul quale è sperabile si possa cambiare qualcosa a favore della micro-generazione, prima dell’invio del testo a Bruxelles, è la conferenza Stato Regioni sulla quale potrebbero incidere i propositi del ministro e così poter sperare nella continuità del settore.

 

di Carlo Buonfrate – Presidente CPEM