Dopo gli effetti della crisi, il 2010 conferma che l’avvento del sole, del vento e delle biomasse sta veramente cambiando gli equilibri nella produzione energetica nazionale
Come previsto, il bilancio elettrico italiano lancia un segnale positivo per il 2010, dopo il biennio più cupo della storia del mercato nazionale, nel quale la domanda è crollata da 340 a 320 TWh. La richiesta di energia elettrica sulla rete ha recuperato 10 TWh rispetto all’anno precedente, risalendo ai livelli del 2005. La grande crisi sembra superata, anche se gli incerti destini dell’economia italiana costringono a rimanere ancora con il fiato sospeso.
In questo clima di apprensione, le rinnovabili dimostrano di godere di ottima salute. Proprio durante la crisi, le produzioni verdi hanno fatto registrare un notevole progresso, grazie anche all’apporto delle nuove FER, ovvero le biomasse (o bioenergie, 9 TWh nel 2010), l’eolico (9 TWh), il fotovoltaico (2 TWh), che ormai soddisfano il 6% della richiesta sulla rete. Si è, così, invertita la tendenza che, dal boom economico del dopoguerra, aveva portato le fonti rinnovabili a giocare un ruolo sempre meno rilevante nel parco generativo nazionale.
L’Italia partiva da una situazione in cui l’idroelettrico e, marginalmente, il geotermoelettrico garantivano la parte preponderante della produzione. Per tutto il periodo compreso tra il 1918 e il 1951, per intendersi, le due fonti hanno raggiunto picchi oltre la quota del 95% della produzione lorda (dati TERNA), attestandosi, comunque, sempre al di sopra di quota 50% nel settantennio successivo al 1897, quando l’industria elettrica nazionale compiva il suo 14° compleanno. Poi, la prodigiosa espansione economica della seconda metà del secolo scorso ha trovato nei combustibili fossili e, in piccola parte, nel nucleare (con una produzione lorda massima pari a 9 TWh nel 1986, appena prima della dismissione delle centrali) le sue fonti di sostentamento, così le rinnovabili, pur contribuendo con un apporto stabile attorno ai 50 TWh l’anno, si sono drasticamente ridotte in termini percentuali sul totale, fino a toccare i valori vicini al 15% degli ultimi anni (dati GSE).
Le politiche attuate nell’ultimo decennio stanno finalmente cambiando questo paradigma. Le diverse forme di incentivazione delle rinnovabili e la priorità di dispacciamento ad esse riservate funzionano. Lo dimostra il risultato 2010, in cui le fonti tradizionali, pur aumentando la loro produzione lorda (1 TWh), perdono il 2% della loro quota in favore delle energie verdi.
L’obiettivo di copertura del fabbisogno elettrico con le FER al 2020, individuato dal Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili, è sicuramente alla portata. Il Ministero dello Sviluppo Economico, nel ripartire tra i comparti elettrico, termico e trasporti l’impegno per centrare quota 17% sul consumo finale lordo di energia, ha assegnato a quello elettrico un compito molto ambizioso, a compensazione dell’attuale pesante ritardo del comparto trasporti. Nel 2020 la produzione rinnovabile (normalizzata al fine di attenuare gli effetti delle variazioni climatiche annuali sui contributi dal settore idroelettrico ed eolico e di escludere l’energia prodotta in centrali di pompaggio) dovrà costituire il 26,4% del consumo interno lordo di energia elettrica (CIL), che è pari alla produzione lorda al netto dei pompaggi più il saldo degli scambi con l’estero.
Nel 2010 la quota raggiunta (20,1%) ha sfiorato il risultato previsto per il 2012 (20,3%), lasciando intendere che l’Italia, su questo fronte, marcia con quasi due anni di anticipo.