Incentivi, buone risorse naturali e una politica aperta agli investimenti esteri stanno rendendo la piccola nazione insulare obiettivo prediletto dell’industria offshore occidentale
Taiwan si candida a nuovo hub asiatico dell’eolico offshore
(Rinnovabili.it) – La regione dell’Asia Pacifico rappresenta uno degli avversari più probabili per leadership europea nell’eolico offshore. Se è vero che oggi paesi come il Regno Unito, la Germania e la Danimarca guidano senza troppe difficoltà il settore a livello mondiale, un domani la distribuzione del mercato potrebbe cambiare sensibilmente. Taiwan sta diventando infatti il prossimo campo di battaglia per progettisti eolici più importanti al mondo, oggi alla ricerca di un punto d’appoggio per far breccia nel mercato asiatico con la tecnologia offshore.
La piccola nazione insulare ha chiuso da poco la sua prima grande asta per l’eolico offshore grazie alla quale prevede di aggiungere altri 3,8 GW di capacità “green” alla sua rete esistente. E la gara è solo l’inizio: il Paese intende portare la capacità installata totale a largo delle sue coste a 5,5 GW eolici entro i prossimi sette anni. Il Governo ha già pianificato un investimento di 23 miliardi di dollari da oggi al 2025 per non mancare il target.
Al di là delle ambizioni taiwanesi è interessante notare chi ha risposto all’asta eolica: a dividersi il contingente di potenza sono state soprattutto grandi società occidentali, come la Copenhagen Infrastructure Partners, lo sviluppatore tedesco WPD e la danese Ørsted (ex DONG Energy). La gara ha attirato le offerte dei maggiori player mondiali grazie sia alle ottime risorse locali, in termini di vento e fondali, sia ad un quadro normativo stabile e a incentivi al di sopra dei benchmark europei. Ma soprattutto ha lasciato fuori un grande competitor, la Cina, oggi terzo mercato al mondo per l’eolico offshore.
Le tensioni politiche fra Taipei e Pechino si fanno sentire anche in questo settore. Alle compagnie cinesi, infatti, è proibito investire nel settore energetico dell’isola per quelli che Chung-Hsien Chen, direttore della divisione tecnologica dell’Ufficio dell’Energia di Taiwan, definisce “problemi di sicurezza nazionale”. E tutte le future wind farm non impiegheranno turbine e componenti importati “made in China”.
Elementi che lasciano il campo libero all’industria occidentale. Se a ciò si aggiunge le difficoltà delle aziende straniere di investire nell’eolico offshore della Repubblica popolare, a causa della natura del mercato cinese, è facile comprendere perché l’attenzione sia oggi tutta su Taiwan.
Ed è lo stesso direttore generale di Ørsted Matthias Bausenwein a spiegare “Vediamo Taiwan come un trampolino di lancio per l’Asia-Pacifico […] Abbiamo obiettivi aggressivi qui e, con le cose che stanno accadendo in Cina, Corea del Sud e altri mercati, potrebbe divenire la regione a più rapida crescita a livello globale”. Il governo dell’isola sta sostenendo proattivamente l’industria offshore anche attraverso la sua nuova visione energetica “zero nucleare” spinta dalle paure post-disastro di Fukushima, di cui fa parte anche l’obiettivo di coprire il 20% della domanda elettrica 2025 con energia rinnovabile. “Al pari del Giappone e della Corea del Sud – sottolinea Robert Liew senior analyst di MAKE Consulting – ogni paese sta gareggiando per diventare un hub regionale per l’eolico offshore, ma la capacità assegnata a Taiwan è molto più grande, il che significa che è in una posizione migliore data la sua solida pipeline e la maggiore disponibilità ad accettare investimenti stranieri”.