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Cnel: proteggere l’eolico dalle infiltrazioni criminali

(Rinnovabili.it) – Si è tenuta questa mattina presso il Consiglio Nazionale Economia e Lavoro (Cnel) la presentazione del Rapporto sui rischi di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dell’energia eolica, curato dall’Osservatorio Socio-economico sulla criminalità. Il documento affronta attraverso i dati Anev sulla crescita del vento italiano, uno degli aspetti più criticati legati alla produzione energetica. Il vero e proprio boom di impianti eolici che ha investito il Mezzogiorno, pone alcuni spunti di riflessione. Attualmente, infatti, le wind farm si concentrano principalmente nelle regioni meridionali con il 98% della potenza italiana e l’84% del parco impianti e sebbene non vi sia “relazione diretta e ineludibile tra Meridione, criminalità organizzata e produzione energetica rinnovabile”, scrive il CNEL, “si deve senza dubbio riflettere su questo pressante rischio, soprattutto alla luce del controllo ambientale esercitato dalla criminalità organizzata, già fortemente strutturata in molti settori, tra cui, ad esempio, i lavori edili, la gestione dei rifiuti, le attività commerciali”.

La ricetta è riassumibile in due sole parole: prevenire e contrastare. “E’ necessario un monitoraggio severo poiché, nei prossimi anni sono previsti ingenti investimenti pubblici e privati, stimati in circa 10 miliardi di euro di finanziamenti annuali, con il fondato rischio che questi possano essere, almeno in parte, preda della criminalità organizzata. Da un monitoraggio effettuato si evince che nel periodo gennaio 2007- aprile 2011, le inchieste relative ai parchi eolici sono state 17, con 14 Procure impegnate e 126 ordinanze di custodia cautelare emesse”. A far scattare il campanello dall’allarme dovrebbero essere una serie di fattori come la concentrazione degli impianti in superfici relativamente ridotte, l’elevato costo realizzativo ed elevatissimo valore aggiunto e la scarsa esperienza e limitata dotazione di personale degli uffici tecnici chiamati a dare i permessi. Le armi di contrasto però ci sono e sono già praticabili, a partire dal “potenziamento delle indagini patrimoniali, fino alla completa tracciabilità delle risorse assegnate, rafforzamento del collegamento tra le forze di polizia, tramite l’integrazione di informazioni e banche dati”.

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