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Che vento tira in Italia?

Incertezza, attese e un temporeggiamento ingiustificato per un settore anticiclico rispetto alla crisi che crea occupazione, flussi economici e uno sviluppo tecnologico e industriale all'avanguardia

…speriamo non il Libeccio, un vento umido e violento proveniente da Sud-Ovest e spesso portatore di forti mareggiate, burrasche e piogge molto intense. La paura non è ingiustificata, dato che ancora oggi quello eolico è un settore orfano di un quadro normativo certo e attende da oltre 9 mesi un decreto attuativo della Direttiva comunitaria che, se non arriva, metterà a repentaglio il raggiungimento degli obiettivi al 2020 in termini di produzione elettrica. Eppure stiamo parlando di un comparto che, con circa 40.000 posti di lavoro raggiunti grazie allo sviluppo della catena industriale, provvede alla copertura dei consumi domestici di oltre 13 milioni di italiani, gente peraltro che nella sua quasi totalità (i sondaggi parlano del 90% della popolazione), oltre ad apprezzarne e condividerne la mission, non ha contratto la “sindrome NIMBY” e si dichiara disposta ad accoglierlo nel proprio giardino.
Ad aprirci questo spaccato è Simone Togni, Presidente dell’Associazione che in Italia rappresenta i protagonisti del comparto energetico eolico nazionale, l’ANEV, e attivo ormai da anni nel dibattito tra operatori del settore e Istituzioni, un dibattito che mai come in questo momento è caldo e vivo. Sì perché, al di là delle difficoltà dovute ora alle polemiche degli ambientalisti ora a poco chiare vicende malavitose, l’energia dal vento sembra oggi pronta a garantire al Paese crescita, occupazione, flussi economici stabili e uno sviluppo tecnologico e industriale all’avanguardia.
E c’è di più. «L’eolico piace agli italiani – spiega Togni – piace agli Enti Locali, ai Comuni e alla Conferenza Unificata, che nei giorni scorsi ha chiesto al Governo di modificare i decreti in maniera da consentire lo sviluppo dell’eolico e delle altre rinnovabili in linea con gli obiettivi comunitari; piace al Parlamento che, con un atto formale molto significativo, ha, non più di 2 settimane fa, impegnato il Governo nella predisposizione di quegli strumenti indispensabili per raggiungere gli obiettivi al 2020; piace, non ce lo dimentichiamo, anche alla Commissione Europea che, proprio lunedì scorso ha sollecitato il nostro Paese a muoversi per consentire lo sviluppo di questa tecnologia».
Eppure, la sensazione è che l’assenza di un quadro normativo non sia congiunturale, ma voluta di proposito.
«Evidentemente ci sono interessi più forti di quelli che in democrazia dovrebbero prevalere, che stanno consigliando al Governo di soprassedere su una cosa che invece potrebbe e dovrebbe essere spinta al massimo in quanto anticiclica. Lo sviluppo potrebbe contribuire, come nel resto del mondo già sta facendo, a non perdere i posti di lavoro, le competenze accumulate in questi anni e la capacità industriale che l’Italia con tanta fatica ha raggiunto in questo settore».
Nonostante spesso si senta dire che fare le rinnovabili significa importare tecnologia dall’estero, il nostro Paese, invece, va fiero di un Made in Italy forte e consolidato, soprattutto in alcuni segmenti di mercato, come quello della componentistica, costretta però al trasferimento tecnologico, in Germania e in altri Paesi europei, di ingranaggi, componenti elettromeccanici e prodotti della lavorazione della fibra di vetro e di quella di carbonio. Per assurdo, cioè, succede che una buona parte della componentistica tecnologica prodotta all’estero sia italiana.
«Non ci dimentichiamo poi – precisa Togni sempre a proposito di Made in Italy – quelle macchine che vengono costruite interamente in Italia da aziende italiane, oggi in crisi e appese all’esito di quello che sarà il decreto ministeriale che il Governo emanerà, oggi in bozza molto penalizzante». Una situazione che per Togni va assolutamente scongiurata.
«Seguiamo le indicazioni di Oettinger: meno burocrazia, e quindi no alle aste che sono assolutamente inconciliabili con lo sviluppo del settore, ed evitare che il taglio degli incentivi e l’applicazione del nuovo decreto così a breve termine rendano impossibile il finanziamento di nuove iniziative da parte dei produttori indipendenti. Se per il Governo italiano la linea guida da seguire, come più volte sottolineato, è quella europea, allora chiediamo al Presidente Monti e al Ministro Passera di seguirla».
È bene ricordare, inoltre, che mentre il fotovoltaico è un caso italiano, l’eolico è un caso mondiale, non solo per quanto riguarda l’eolico on-shore, ma anche per quello off-shore. Nonostante abbia conquistato il suo naturale sviluppo soprattutto nei Mari del Nord, l’eolico off-shore, pur con alcune difficoltà in più rispetto a quanto previsto agli inizi dai più ottimisti sulla materia, ha anche nel Mediterraneo la possibilità di produrre quote significative di energia elettrica. Sulla scia di quanto già accaduto nel Nord Europa, spiega Togni, la sfida per l’Italia è quella di arrivare a meccanismi e tecnologie applicative innovative. «Le coste dei nostri mari hanno una profondità molto rilevante già dai primi metri dopo la costa e non consentono un’installazione di impianti così significativa a costi ragionevoli. Per questo dobbiamo continuare nella ricerca di soluzioni tecnologiche adatte al nostro territorio, come le piattaforme flottanti per esempio. La potenzialità c’è, non è quella dei Mari del Nord, ma è una potenzialità che può e deve essere sfruttata e speriamo che lo sia da qua al 2020».
L’ANEV oggi omaggerà il vento a Policoro, in Basilicata, con un convegno che segnerà l’inizio di una serie di festeggiamenti, tra escursioni in catamarano e brunch in spiaggia, che termineranno lunedì 18 giugno con la cerimonia di consegna ai giornalisti vincitori del Premio Giornalistico indetto dell’Associazione. Il messaggio che il suo Presidente ha voluto lanciare è univoco: «Un quadro normativo certo, con un obiettivo che negli intenti sia condiviso dalle associazioni e dal Governo: ridurre al minimo indispensabile il livello di incentivi per una tecnologia già molto matura e rimuovere gli ostacoli che oggi creano inefficienze per arrivare, intorno al 2020, a non avere più necessità di alcun tipo di sostegno e non dover più gravare sul sistema e sulle tasche di ognuno di noi. Senza continui stravolgimenti, nel medio e nel lungo periodo arriveremo alla grid parity, quella vera».

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