CSIRO e Matthew Hill della Monash University hanno ricevuto il Solomon Award per lo sviluppo di strutture metallorganiche in grado di mandare in soffitto le tradizionali vasche di evaporazione nell’estrazione del litio
I reticoli metallorganici tornano a dare una mano al settore energetico, facendo incursione nella filiera dell’energy storage
(Rinnovabili.it) – Si chiamano metal organic frameworks (MOFs) o struttutture metallorganiche, ma qualcuno li ha già ribattezzati “cristalli magici” grazie alla loro capacità di essere impiegati nei campi più disparati. Si tratta della nuova promessa del settore chimico: solidi cristallini altamente porosi (lo spazio vuoto interno può raggiungere il 90% del loro volume), composti da una rete tridimensionale di ioni metallici tenuti in posizione da molecole organiche. Negli ultimi anni, i MOF hanno ricevuto una notevole attenzione come materiali di stoccaggio e come catalizzatori: possono comportarsi come delle spugne e immagazzinare e rilasciare su richiesta molecole come di idrogeno, fertilizzanti o carburanti, oppure trasformarsi in un setaccio, impiegando le differenti dimensioni dei pori per separare, ad esempio, il gas naturale dalle impurità o l’anidride carbonica da un flusso di scarico.
Oggi fanno il loro debutto anche nel campo minerario e più precisamente in quello dell’estrazione del litio. Succede in Australia dove la CSIRO (l’agenzia scientifica nazionale) e la Monash University hanno collaborato con la società statunitense EnergyX per commercializzare il nuovo processo a base di strutture metallorganiche.
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La maggior parte del litio mondiale è prodotto dalle salamoie attraverso un processo ad alta intensità di lavoro, che richiede vasti stagni di evaporazione. Una singola struttura in Cile, uno dei Paesi chiave nella produzione di questo metallo, può arrivare ad occupare 42 chilometri quadrati. La nuova tecnologia australiana, creata dal team scientifico di Matthew Hill, ha il potenziale per sostituire 4.000 ettari di piscine con un’unica unità di filtrazione, a base di MOF, di appena 0,1 chilometri quadrati. La grande novità, tuttavia, non è tanto nell’impiego dei reticoli metallorganici nella filtrazione delle salamoie, quanto nel sistema di elaborazione chimica creato da Hill, che permette di produrre questi 10 kg di questi solidi cristallini all’ora, consentendone un uso commerciale.
Una simile svolta potrebbe vantaggi a tutta la filiera dell’energy storage. Entro il 2040 si stima che le vendite dei veicoli elettrici raggiungeranno i 56 milioni annuali di veicoli elettrici mentre i comparto dell’accumulo potrebbe arrivare a 1.095 gigawatt installati nel mondo: un aumento esponenziale rispetto ai dati odierni, che richiederà quindi un’attenzione amplificata nei confronti dei materiali dell’energy storage (leggi anche Il mercato dei metalli si scontra con l’accumulo: turbolenze in arrivo).
“Il mondo non ha mai avuto bisogno di queste quantità di litio prima, quindi gli attuali metodi di produzione non sono scalabili alla grandezza necessaria”, spiega fondatore e CEO di EnergyX, Teague Egan. “La tecnologia di Matthew consente un cambiamento trasformativo nel modo in cui ora possiamo recuperare questa risorsa. Migliorerà notevolmente l’economia e l’impatto ambientale dell’estrazione del litio”.
Non solo. “Le nostre membrane MOF possono separare gli ioni litio dall’acqua in modo che possano essere utilizzate per produrre batterie, ma abbiamo anche dimostrato che possiamo inserirle all’interno delle stesse batterie al litio e migliorarne durata e capacità”, afferma Hill. “E stiamo lavorando con un attività locale, Boron Molecular per aumentare la produzione dei nostri cristalli”.
L’invenzione ha fatto meritare al professor Hill, il David e Valerie Solomon Award, assegnato dall’Australian Academy of Technology and Engineering (ATSE).