(Rinnovabili.it) – L’Italia vuole più gas dall’Algeria e rispolvera il progetto Galsi, il gasdotto che dovrebbe collegare i due paesi attraversando tutta la Sardegna. A tornare su un argomento ormai nel cassetto da quasi un anno è il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, nel corso di una conferenza stampa tenuta ad Algeri insieme all’omologo algerino Ramtane Lamamra lunedì 2 febbraio. Gentiloni, riporta l’agenzia di stampa APS, ha dichiarato che l’Italia è ancora interessata al Galsi nell’ottica di diversificare i suoi fornitori di risorse energetiche. L’intervento del ministro arriva nemmeno una settimana dopo l’annuncio di un nuovo rinvio del progetto da parte dell’algerina Sonatrach, l’azienda statale degli idrocarburi. Saïd Sahnoun, direttore generale dell’azienda, aveva deciso di posticipare ad aprile la decisione definitiva sulla costruzione del gasdotto per attendere le ultime valutazioni dei partner dell’operazione. L’Algeria partecipa con una quota di maggioranza del 41% tramite la Sonatrach, insieme alle italiane Edison, Enel e gruppo Hera.
È l’ennesimo stop and go per un progetto piuttosto controverso, che dovrebbe rifornire l’Italia con 8 miliardi di metri cubi di gas ogni anno. Con un investimento totale di circa 3 miliardi di euro, il piano iniziale prevedeva di collegare Koudiet Draouche (estremo est dell’Algeria, sulla costa) a Piombino, passando per la Sardegna (Porto Botte e Olbia). Proposto nel 2003, secondo la tabella di marcia iniziale i cantieri dovevano aprire nel 2014. Invece già dal 2011 si sono verificati diversi intoppi. Prima le proteste di numerosi movimenti sardi di diverso orientamento e del comitato No Galsi. Gli oppositori denunciano le ricadute sull’ambiente: il gasdotto infatti dovrebbe tagliare in diagonale l’intera isola per 270 chilometri, attraversare centinaia di corsi d’acqua e occupare lungo tutto il percorso una larghezza minima di 40 metri. Ma il Galsi è stato bloccato anche per un disaccordo fra le aziende partner sul prezzo delle forniture. Le parti italiane premevano perché il costo del gas venisse legato al mercato spot, quindi con un’alta variazione delle quotazioni, per sfruttare le previsioni di una tendenza al ribasso del mercato. L’Algeria invece voleva una fornitura a prezzo fisso e prestabilito, in modo tale da garantirsi una rendita certa e assicurarsi il ritorno dell’investimento in un lasso di tempo più contenuto.
Nonostante i tentennamenti e il braccio di ferro sul contratto di fornitura, il progetto riveste un interesse strategico per entrambe le parti. Da un lato Algeri, che con il suo gas è il maggior fornitore dell’Italia (attraverso il gasdotto Transmed che attraversa Tunisia e Sicilia) e copre oltre il 30% del fabbisogno nazionale, ha bisogno di aumentare l’export visto il calo della domanda italiana – dovuta anche all’aumento della frazione di energia rinnovabile nel mix energetico del paese – che costringe a fare i conti con minori entrate nelle casse dello Stato. Dall’altro l’Italia ha l’urgenza di diversificare i paesi fornitori, soprattutto a causa dell’interruzione delle forniture dalla Libia e dall’incognita del gas russo, che per accendere i fornelli di Roma deve attraversare la guerra civile in Ucraina.