Scoperto il modo per rendere chiuso il sistema delle batterie litio-aria. Diverrebbero così capaci di offrire quindici volte la densità energetica degli ioni di litio
(Rinnovabili.it) – Con una densità energetica simile a quella della benzina, le batterie litio-aria promettono di essere una panacea per i problemi di autonomia delle auto elettriche. Ma prima di potare questa tecnologia sul mercato ci sono ancora diversi nodi tecnici da risolvere. Uno di questi è l’accumulo di perossido di litio sugli elettrodi, un precipitato solido sottoprodotto della reazione chimica, che intasa i pori dell’elettrodo. La conseguenza? La batteria diminuisce rapidamente le sue prestazioni.
Oggi tuttavia, gli scienziati dell’Argonne National Laboratory del DOE sono convinti di aver trovato un modo per superare il problema. I ricercatori Jun Lu, Larry Curtiss and Khalil Amine hanno scoperto come far produrre un superossido stabile di litio cristallizzato (LiO2) invece di semplice perossido di litio durante la fase di scarica della batteria. La differenza tra i due composti consiste nel fatto che il superossido stabile può facilmente dissociarsi in litio e ossigeno, mantenendo dunque alta l’efficienza e il ciclo di vita della batteria litio-aria. “Questa scoperta apre la strada per un nuovo e potenziale sviluppo di questo tipo di batteria”, ha commentato Curtiss. “Anche se è necessaria molta più ricerca, il ciclo di vita della batteria è quello che stavamo cercando”.
Il principale vantaggio di una batteria basata su superossido di litio è che permette, almeno in teoria, di realizzare una batteria al litio-aria a “sistema chiuso”. I sistemi aperti richiedono l’apporto costante di ossigeno supplementare dall’ambiente, mentre quelli chiusi non ne hanno bisogno, il che li rende più sicuri e più efficienti. La stabilizzazione della fase superossido potrebbe portare allo sviluppo di dispositivi di storage chiusi a base di superossido, in grado di offrire cinque volte la densità energetica degli ioni di litio. Il lavoro è stato finanziato dall’Ufficio di Efficienza energetica ed energie rinnovabili del DOE e pubblicato sul numero 11 della rivista scientifica Nature.