Dalla piezoelettricità alla flessoelettricità
(Rinnovabili.it) – Sono ritenute uno strumento utile per l’igiene personale, grazie alle loro proprietà esfolianti, ma un giorno non troppo lontano potrebbero aiutarci anche a produrre elettricità a zero CO2. Parliamo delle spugne vegetali ottenute dalla luffa, un tipo di zucca.
La pianta è al centro di una nuova ricerca energetica condotta da alcuni ingegneri dell’Università di Beihan, dell’Università di Pechino e dell’Università di Houston. Il gruppo voleva progettare un nuovo materiale morbido che permettesse la facile conversione della deformazione meccanica in elettricità. Il problema di questo approccio? La piezoelettricità, vale a dire la proprietà fisica che permette di creare una differenza di potenziale elettrico in risposta ad una deformazione meccanica uniforme, ha bisogno di specifici materiali cristallini. L’alternativa è sfruttare un effetto diverso, detto flessoelettricità, una forma alternativa di accoppiamento elettromeccanico presente universalmente in tutti i dielettrici che permette che risponde anche a deformazioni non uniformi. Peccato che il rendimento sia molto basso.
È esattamente a questo livello che si inserisce il lavoro del gruppo. Gli scienziati hanno ottenuto una significativa risposta flessoelettrica sfruttando un materiale biologico piuttosto comune: la spugna di luffa, per l’appunto. Queste spugne non sono altro che i gusci porosi che rimangono una volta fatta essiccare la zucca.
Produrre elettricità a zero CO2 con le piante
Gli ingegneri hanno rimosso dalla struttura emicellulosa e lignina, ottenendo come risultato un “scheletro cristallino” di cellulosa. Quindi, hanno collegato la spugna a un circuito elettrico e hanno iniziato a strizzarla più e più volte a mano. Il risultato? La spugna è stata in grado di generare fino a 8 nanoampere di elettricità. Nonostante sulla carta il valore sia estremamente basso, gli scienziati affermano di aver ottenuto il più alto coefficiente piezoelettrico equivalente specifico per densità mai registrato. E che ovviamente, con ulteriori interventi ,si potrebbe migliorare ancora il valore per aumentare la produzione di elettricità a zero CO2. La ricerca stata pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences (testo in inglese).