Quanto durerà ancora il passaggio dall’ora legale all’ora solare?
(Rinnovabili.it) – Addio ora legale. Benvenuta ora solare. Come da tradizione l’Italia si appresta nuovamente a metter mano agli orologi nazionali, portando indietro di un’ora le lancette. L’aggiornamento avverrà nella notte tra sabato 30 e domenica 31 ottobre, per poi farle scattare nuovamente avanti il prossimo 27 marzo 2022.
Per gli italiani si tratta ormai di un’abitudine consolidata divenuta quasi totalmente automatica con il passaggio dall’analogico al digitale connesso in rete. Eppure il futuro dell’ora legale e del suo alternarsi con l’ora solare, è incerto.
Esiste, infatti, un progetto legislativo a livello comunitario che rema in favore dell’abolizione. Si tratta di una revisione normativa avviata da Bruxelles per volere degli stessi europei e che oggi giace nelle stanze dei legislatori UE. Ma per comprendere a pieno la vicenda è necessario fare qualche passo indietro.
La storia del cambio orario
L’Italia ha adottato l’ora legale inizialmente come misura di guerra nel 1916, per poi inserirla definitivamente nella legislazione nazionale nel 1966. Una storia che si è ripetuta, con piccole e grandi modifiche, anche in molti altri Paesi europei, fino all’adozione comunitaria dello stesso calendario per l’ora legale nel 1996. Ma per avere regole chiare e condivise in tutti gli Stati Membri dell’Unione si dovette aspettare il 2002, anno in cui sono entrati in vigore i dettami della Direttiva 2000/84/CE. Il provvedimento fissava per la prima volta in maniera definitiva una data e un’ora comuni per l’inizio e la fine del periodo della “summer time” in tutta la Comunità.
Tuttavia l’intesa non è durata più di tanto. Nel 2018, l’Europarlamento ha chiesto alla Commissione europea di modificare la direttiva. Non era la prima volta che i deputati avanzavano una simile proposta. Ma è stata la prima volta che l’Esecutivo UE ha dovuto prenderla in considerazione a causa di una maxi consultazione pubblica. Ben 4,6 milioni di cittadini europei, provenienti dagli allora 28 Stati Membri, si sono espressi sul tema. E di questi, un buon 84% chiedeva la fine dei cambiamenti di orario.
Messa alle strette Bruxelles ha presentato un aggiornamento normativo in cui proponeva l’abbandono dello switch a partire dal 2019. I problemi sono arrivati quando il disegno di legge è arrivato ai legislatori comunitari. Se da un lato il Parlamento europeo ha approvato facilmente la proposta limitandosi a spostare la deadline alla fine del 2021, dall’altro il Consiglio non è riuscito a chiudere la questione. Ad oggi, ottobre 2021, il provvedimento è ancora in attesa di una prima lettura.
Nel frattempo è emerso un secondo problema. Il provvedimento lascerebbe ai singoli Paesi la possibilità di scegliere se mantenere l’ora legale o quella solare. Ma, sebbene siano in molti a voler abbandonare il doppio cambio annuale, non c’è intesa rispetto quale orario adottare in maniera definitiva. E avere nazioni UE con un mosaico di fusi orari creerebbe parecchi problemi pratici per le imprese e il commercio.
I benefici dell’ora legale in Italia
L’Italia, dal canto suo, non sembra intenzionata da abbandonare il cambio. Nell’autunno 2019, il governo Conte aveva depositato a Bruxelles una richiesta formale di mantenimento della situazione attuale, convinto dei benefici economici legati al passaggio. D’altra parte secondo i dati di Terna per il 2021 nei passati 7 mesi di ora legale il sistema elettrico italiano ha beneficiato di minori consumi per 450 milioni di kWh, pari al valore di fabbisogno medio annuo di circa 170 mila famiglie. Con un conseguente risparmio economico di circa 105 milioni di euro. Ricadute positive anche in termini di sostenibilità ambientale: il minor consumo elettrico, infatti, ha consentito al Paese di evitare emissioni di CO2 in atmosfera per circa 215 mila tonnellate.
Dal 2004 al 2021, secondo l’analisi della società guidata da Stefano Donnarumma, il minor consumo di energia elettrica per l’Italia dovuto all’ora legale è stato complessivamente di circa 10,5 miliardi di kWh e ha comportato, in termini economici, un risparmio per i cittadini di oltre 1,8 miliardi di euro.