(Rinnovabili.it) – Le avevamo eliminate definitivamente, almeno in Europa, a favore di prodotti più efficienti quali le fluorescenti compatte (CFL) e i più recenti LED. Ora i vecchi bulbi, potrebbero tornare in auge. A ridar vita alle lampadine a incandescenza sono i risultati di una ricerca congiunta del MIT e della Purdue University, che -almeno sulla carta – avrebbero aver trovato un modo per migliorare l’efficienza delle tradizionali lampadine. Il problema dei bulbi a incandescenza è che creano luce utilizzando l’elettricità per riscaldare un sottile filamento di tungsteno ad una temperature di circa 2.700 K per far sì che brilli producendo luce bianca calda. In questo processo più del 95 percento dell’energia utilizzata è sprecata sotto forma di calore.
Per risolvere il problema i ricercatori hanno creato un procedimento in due fasi. La prima prevede un filamento metallico convenzionale riscaldato, con tutte le sue perdite. Ma invece di consentire al calore di scarto di essere dissipato sotto forma di radiazione infrarossa, alcune strutture secondarie che circondano il filamento catturano questa radiazione e la riflettono sul tungsteno affinché sia riassorbita e ri-emessa come luce visibile. Tali strutture sono nano-cristalli fotonici, realizzati con la tecnologia a deposizione a partire da elementi comuni. Questo secondo passo fa la differenza.
L’efficienza delle lampade a incandescenza tradizionali è compresa tra 2 e 3 per cento, mentre quella di lampade fluorescenti è attualmente tra il 7 e il 13 per cento, e quella dei LED tra 5 e 13 per cento. Secondo gli scienziati le nuove lampade a incandescenza potrebbero raggiungere un rendimento massimo del 40 per cento. Le prime unità proof-of-concept realizzate però non hanno ancora raggiunto quel livello, assestandosi intorno al 6,6 per cento di efficienza. Ma anche questo risultato preliminare costituisce già un importante passo avanti. Il gruppo definisce il proprio approccio come “riciclaggio luce”, poiché il loro materiale cattura le lunghezze d’onda inutili (quali gli IR) e le converte in lunghezze d’onda di luce visibile.