Dopo la chiusura di alcuni reattori in Giappone è aumentato del 40% il consumo di fonti fossili e si passa alla revisione degli obiettivi anti-emissioni fissati al 2020
Sottoscritto nel 2009, l’impegno ha iniziato ad essere modificato da quando è cominciata a vacillare la fiducia della popolazione nell’energia dell’atomo, venuta meno a seguito del disastro nucleare del marzo 2011, portando il governo a procedere alla disattivazione di alcuni dei reattori presenti sul territorio.
Allo spegnimento delle centrali sta facendo seguito una diminuzione dell’energia elettrica, quantitativo mancante che deve essere compensato con la produzione ottenuta da altre fonti: da qui la paura degli ambientalisti che si torni ai combustibili fossili aumentando la quota di emissioni inquinanti, come suggerito dalle stime dall’Energy Information Administration degli Stati Uniti. I dati statunitensi rivelano infatti che l’elettricità prodotta dal gas naturale, dal petrolio e dalle centrali a carbone è aumentata del 40 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011, costituendo così il 90 per cento del totale dell’energia elettrica del Giappone rispetto a una media del 64 per cento dell’anno precedente. A tal proposito il vice primo ministro Katsuya Okada ha confermato durante la settimana che l’amministrazione stava valutando nuovi obiettivi a seguito del cambiamento delle circostanze affermando che l’attuale obiettivo fermato al 25% è “un numero calcolato sulla premessa che dipenderemo nucleare in misura equa” aggiungendo che sarà sicuramente necessario rivedere gli obiettivi.