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Priorità all’efficienza energetica nella pubblica amministrazione

Priorità all’efficienza energetica nella pubblica amministrazione
via depositphotos.com

di Anna Maria Desiderà, Rödl & Partner

Essere efficienti significa utilizzare meno e/o meglio le proprie risorse. Essere energeticamente efficienti significa svolgere la stessa attività o ottenere lo stesso risultato risparmiando energia. Sarà l’immediata percepibilità del concetto ma, a fronte degli scenari drammatici evocati dal repentino aggravamento della crisi climatica, vien da chiedersi se vi possa essere soluzione più semplice da attuare da parte di uno Stato per mitigarne gli effetti.

Sono tra l’altro innegabili ed evidenti i plurimi vantaggi che derivano da un uso più razionale ed efficiente dell’energia (oltre al suo risparmio): la riduzione della povertà energetica e della dipendenza da fornitori (anche stranieri), la protezione dell’ambiente e la mitigazione degli impatti climatici, una costante spinta all’innovazione, nuovi posti di lavoro, competitività a livello locale e più in generale il miglioramento della qualità della vita. Ma forse è proprio il suo essere alla portata di ciascuno di noi (che può fare la differenza già solo modificando le proprie abitudini) a trarci in inganno, perché è chiaro che “combattere” la crisi climatica attraverso l’efficienza energetica implica un impegno collettivo e strumenti efficaci.

Il quadro d’azione

Negli ultimi anni si sono susseguiti numerosi strumenti normativi e finanziari, soprattutto di matrice comunitaria, aventi come focus l’ambiente, il clima e una crescita sostenibile ed inclusiva. Se ci limitiamo ad un esame di quelli principali relativi al tema di interesse, non possiamo che fare partire la nostra analisi dal nuovo PNIEC, presentato dal Governo italiano alla Commissione UE lo scorso 1.07.2024, e dalla Direttiva (UE) 2023/1791 sull’efficienza energetica [2], entrata in vigore il 10.10.2023.

La predisposizione del primo è profondamente legata al contenuto della seconda anche per una certa contemporaneità nel loro processo di sviluppo. Tali atti vanno, quindi, letti congiuntamente per avere una indicazione della direzione già assunta dallo Stato italiano, che avrà poi tempo fino all’11 ottobre 2025 per dare pieno recepimento della Direttiva.

I Piani sono, infatti, il principale strumento di pianificazione strategica delle politiche su energia e clima degli Stati membri. Originariamente approvati nel 2019, i PNIEC degli Stati membri sono stati recentemente oggetto di riesame atteso il sopravvenuto mutamento dei target, imposti a livello eurounitario e globale, al fine di accelerare gli sforzi di tutti verso la neutralità climatica, un sistema energetico resiliente e un’economia che sia al tempo stesso competitiva e sostenibile.

In questo percorso di adeguamento delle strategie nazionali, a fronte dell’aggravamento della crisi climatica e del progressivo inasprimento della situazione geo-politica, la Commissione[3] ha concluso lo scorso dicembre la valutazione delle proposte pervenutele e fornito agli Stati membri indicazioni utili a garantire, nelle versioni definitive, il conseguimento degli obiettivi più ambiziosi nel quadro del Green Deal europeo e di REPowerEU, tenendo anche conto degli impegni assunti con l’Accordo di Parigi.

Con riferimento specifico alla proposta di piano presentata dall’Italia, la Commissione ha, tra l’altro, avuto modo di segnalare alcune aree di miglioramento di interesse per questo contributo[4]:

Lacune importanti considerato che, sempre secondo la Commissione, i Piani “Offrono prevedibilità per gli investimenti a breve, medio e lungo termine e costituiscono uno strumento fondamentale per mobilitare gli ingenti investimenti necessari a conseguire l’obiettivo collettivo della neutralità climatica.”

Purtroppo, leggendo il PNIEC “definitivo” non si ha l’impressione che le “carenze” evidenziate siano state sanate, pertanto siamo costretti ad entrare nel dettaglio delle misure per trovare gli strumenti per agire in concreto il cambiamento promesso a livello globale.

Principi, target e iniziative

Tutto parte dalla (ri)affermazione, nella Direttiva, del principio energy efficiency first[5], atteso il ruolo centrale dell’efficienza energetica – considerata ‘una energia a sé stante’ – per il conseguimento della neutralità climatica[6]. La Direttiva aumenta significativamente l’ambizione dell’Unione nell’efficienza energetica stabilendo norme idonee a renderla una priorità in tutti i settori, al fine di garantire una crescita collettiva, inclusiva, giusta, prospera, efficiente, competitiva e sostenibile.

D’altronde, si dice, l’efficienza energetica si presta più di altre iniziative all’utilizzo di un approccio “olistico” lungo l’intera catena del valore e, cioè, dalla produzione di energia e trasporto in rete fino al consumo di energia finale, in modo da conseguire efficienze tanto nel consumo di energia primaria quanto nel consumo di energia finale.

Ciò premesso, per una concreta applicazione del principio “l’efficienza energetica al primo posto” è imprescindibile il sostegno, sia in termini di pianificazione sia in termini di risorse, del settore pubblico, cui infatti la Direttiva (in linea con i precedenti atti) riconosce un ruolo guida ed esemplare, al quale dovrà necessariamente fare seguito un impegno concreto e non più rimandabile.

Due i target principali (i) riduzione del consumo di energia finale degli enti pubblici (- 1,9% annuo rispetto al 2021) e (ii) riqualificazione del parco immobiliare di proprietà pubblica (3% annuo). Ci occuperemo del secondo.

Edifici Pubblici

Il settore civile è attualmente responsabile di circa il 44% dei consumi nazionali finali di energia; ciò dimostra l’importanza che assumono, per il raggiungimento degli obiettivi di efficienza assunti, gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici. La Direttiva impone, per il ruolo esemplare assegnato allo Stato, che sia riqualificato il 3%/anno della superficie climatizzata, non più (solo) degli edifici “di proprietà o occupati dal Governo centrale”, com’era in precedenza, ma di tutti gli immobili “di proprietà dei suoi enti pubblici”, per trasformarli in edifici a emissioni zero o quasi zero.

Secondo il PNIEC, il patrimonio complessivo della Pubblica Amministrazione nazionale ammonta a circa 209 milioni di metri quadri, di cui 163 sarebbero sottoposti a vincoli architettonici. La Direttiva consente, in tali casi, di applicare requisiti meno rigorosi di riqualificazione, al fine di evitare modifiche inaccettabili al loro carattere o aspetto, e di non ristrutturare edifici se non sia tecnicamente, economicamente o funzionalmente fattibile renderli NZEB. Queste previsioni non costituiscono, però, “deroghe” all’obbligo di riqualificare il patrimonio pubblico, ma, al contrario, una opportunità per il comparto dell’edilizia.

Con quali mezzi finanziari?

Il PNIEC indica, principalmente, il FNEE (Fondo Nazionale per l’Efficienza Energetica) e il PREPA (Programma di Riqualificazione Energetica della Pubblica Amministrazione – ex PREPAC).

Non sono strumenti nuovi.  Il primo, attivo dal maggio 2019, ha finanziato, al 31 dicembre 2023, solo 24 progetti per un valore di 19 milioni di Euro a fronte di una dotazione finanziaria di 350M€. Quanto al secondo, le proposte progettuali nel periodo 2014-2018 hanno garantito il raggiungimento dell’obiettivo di riqualificazione (3% superfici Governo centrale), mentre dal 2019 ad oggi su circa 310 progetti approvati al 30 aprile 2024 (per 428M€ di investimento), solo 86 sono in fase di esecuzione lavori e/o conclusi.

Le novità introdotte dal PNIEC

Entrambi risultano potenziati con la previsione nel PNRR (M2C3), tra le misure previste dalla Riforma 1.1 “Semplificazione e accelerazione delle procedure per gli interventi di efficientamento energetico” (rispettivamente 1.1c e 1.1.d), il FNEE anche con una quota di fondo perduto. Inoltre, quanto al primo, il Governo afferma essere “in fase di finalizzazione una riforma più profonda” tesa, tra l’altro, a:

  1. indirizzare il contributo esclusivamente a interventi riferiti al settore civile non residenziale pubblico e a qualunque intervento effettuato tramite contratti EPC;
  2. attivare la sezione garanzie, ivi inclusa quella per il settore residenziale civile;
  3. promuovere lo strumento unitamente alle altre misure cumulabili (certificati bianchi, conto termico, detrazioni fiscali), al fine di creare un “prodotto” finanziario appetibile per il mercato;
  4. ridurre la complessità del meccanismo tramite l’applicazione esclusiva del GBER (acronimo di General Block Exemption Regulation, Regolamento ‘parallelo’ al cd De minimis) e attuare un maggior coordinamento con altri strumenti agevolativi ove cumulabili;
  5. collaborare con la BEI.

Quanto al secondo, attesa la temporaneità dello strumento, il Governo si propone di riformarlo profondamente – anche in considerazione dell’estensione dell’obbligo minimo di riqualificazione di tutte le pubbliche amministrazioni locali e di risparmio energetico minimo annuale imposto dalla Direttiva – prevedendo di creare un meccanismo di allocazione del predetto obbligo a livello regionale, mantenendo una governance centrale presso il MASE. Tra le caratteristiche di questo sistema vi sarebbero anche:

Con quali strumenti?

Lo strumento per eccellenza è senz’altro il contratto di rendimento energetico, più comunemente noto come EPC – energy performane contract: esso corrisponde puntualmente e pienamente alla ratio di valorizzare non tanto il risparmio energetico quanto l’efficienza generata.  Non è un caso che si intenda porlo a “garanzia” dei finanziamenti del FNEE. Restando nell’ambito del settore pubblico, è stata certamente utile la sua positivizzazione (nel 2020) all’interno del codice dei contratti pubblici e, al fine di agevolarne ulteriormente la implementazione da parte delle PA, la predisposizione dello standard di recentissima approvazione (e ancora prima la pubblicazione di una apposita norma UNI CEI EN).

Nella stessa direzione, il Piano assume che sarebbe certamente utile imporne l’obbligatorietà per l’accesso alle forme di incentivazione (in realtà lo è già, per esempio, per il Conto Termico). Tuttavia proprio le ragioni che per il Governo giustificano tale scelta – minimizzazione/azzeramento dei costi di investimento e trasferimento del rischio sul partner privato, con conseguenze sul bilancio (ove i costi sarebbero off balance) – sollevano in chi scrive qualche preoccupazione e impongono una puntualizzazione.

L’EPC è un contratto molto complesso che deve essere affrontato con le necessarie competenze.

La predisposizione di uno standard è sicuramente un importante passo avanti per consentite alle PA di comprenderne la struttura e i requisiti minimi (originariamente fissati dal Dlgs n. 102/2014); ma, perché lo strumento sia efficace, anche ai fini della tenuta dei bilanci, si deve guardare al singolo progetto, avendo una conoscenza puntuale e dettagliata (mediante apposita diagnosi energetica o audit) della situazione (dei consumi) di partenza e un altrettanto chiara visione delle iniziative necessarie a ridurli e, quindi, dei risultati attesi.

Perché si realizzi in concreto un effettivo trasferimento del rischio in capo all’operatore privato tale da rendere off-balance l’operazione, non basterà, quindi, alle P.A. tenere conto dell’art. 200 del nuovo codice dei contratti pubblici (e dello standard ANAC) ma assicurarsi che, in concreto:

Tenuto conto di ciò, solo ove le previsioni dell’EPC corrispondano in concreto alle disposizioni sulle concessioni (art. 176 e seguenti del nuovo codice dei contratti) avremo una operazione off-balance, diversamente si tratterà di un appalto con conseguente indebitamento dell’ente.

Ecco perché, lo si ripete, per una operazione di questo tipo servono, conoscenze e competenze specifiche e interdisciplinari. La buona notizia è che tali costi rientrano nel quadro economico dell’intervento e, laddove sia il privato a farsi promotore della iniziativa, saranno ricompresi nel piano economico-finanziario; né va dimenticato che ci sono sovvenzioni a fondo perduto a copertura dei costi di predisposizione della iniziativa pubblica (le spese per l’audit sono per esempio coperte dal Conto Termico).

Infine, a chiudere il cerchio degli strumenti individuati dal PNIEC vi è il partenariato per l’innovazione, disciplinato dall’art. 75 del codice dei contratti pubblici.

Laddove l’esigenza della PA non trovi nell’EPC una compiuta risposta, si può fare ricorso al partenariato cui il PNIEC riconosce il valore di consentire alle PA di sviluppare – assieme a uno o più partner scelti in maniera competitiva – un prodotto, un servizio o una soluzione innovativa adatta alle specifiche esigenze di risparmio energetico e di efficienza nei consumi.

Illuminazione pubblica

Il Governo si propone di accelerare il processo già in corso di sostituzione delle sorgenti luminose e installazione di sistemi di monitoraggio dei consumi, contestualmente a una riprogrammazione più efficiente delle ore di utilizzo.

Confermato, anche in questo settore, l’uso dell’EPC, si intende qui solo rammentare che la Legge di Bilancio 2018 ha imposto alle pubbliche amministrazioni di riqualificare le reti di illuminazione pubblica entro 31.12.2023, per garantire una riduzione dei consumi elettrici del 50% rispetto al consumo medio 2015-2016.

Le imprese coinvolte nella realizzazione degli interventi potranno fruire delle agevolazioni erogate a valere sul Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca, ove sono stati stanziati 300 milioni di euro per la concessione di finanziamenti a tasso agevolato.

Conclusioni

L’efficienza energetica impone certamente un maggiore sforzo rispetto ad altre iniziative (quali ad esempio la realizzazione di un impianto fotovoltaico): bisogna conoscere nel dettaglio la situazione di partenza, studiare le soluzioni migliori per lo specifico caso concreto, trovare l’operatore migliore – nel caso della PA con apposita gara (o mediante PPP) – monitorare i risultati ottenuti.

Dà però un enorme vantaggio: è una soluzione che va a ‘curare’ i sintomi dei consumi energetici, riducendoli mediante iniziative mirate e personalizzate; se poi l’energia – inferiore rispetto a quella consumata prima dell’intervento – proviene da fonte rinnovabile tanto meglio, avremo raddoppiato i vantaggi e accorciato ulteriormente la distanza dalla neutralità climatica.

Se l’efficienza energetica va messa al primo posto, l’auspicio è che il Governo ne faccia una priorità della sua agenda attuando rapidamente la piena funzionalità e fruibilità degli strumenti identificati nel PNIEC.


[2] Direttiva (UE) 2023/1791 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 settembre 2023, sull’efficienza energetica e che modifica il regolamento (UE) 2023/955 (rifusione) (GU L 231 del 20.9.2023, pag. 1), in vigore dal 10.10.2023, cd nuova EED.

[3] Comunicazione COM (2023) 18.12.2023, n.796

[4] Factsheet_Commissions_assessment_NECP_Italy_2023

[5] Regolamento UE n. 2018/1999;

[6] Regolamento UE n. 2021/1119;

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