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Comunità energetiche, in Italia un potenziale da 17 GW rinnovabili

Comunità energetiche
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Il report “Il contributo delle comunità energetiche alla decarbonizzazione in Italia” 

(Rinnovabili.it) – Le comunità energetiche possono essere la carta vincente del percorso di decarbonizzazione italiano. A mostrar il come e il perché è il nuovo studio di settore, realizzato da Elemens per Legambiente. Il documento, dopo una veloce presentazione del quadro normativo e un’analisi degli attuali progetti di condivisione energetica, lancia uno sguardo al futuro prossimo. E stima per il 2030 fino 17 GW di nuova capacità rinnovabili attivabile tramite le comunità energetiche e autoconsumo collettivo. “Sono progetti che vedranno protagonisti cittadini, imprese, enti locali, associazioni – spiega Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – con il vantaggio di puntare a sistemi energetici totalmente elettrici e da rinnovabili, riuscendo così a risparmiare e arrivare a cancellare i consumi di gas per il riscaldamento delle case e di benzina/diesel per la mobilità”.

Perché ciò avvenga però, il quadro normativo deve essere completo. L’Italia ha parzialmente recepito la Direttiva RED II, il provvedimento comunitario che introduce le nuove forme di autoconsumo, nel Milleproroghe 2020. E lo ha fatto con molto anticipo sulla deadline UE, ossia il 30 giugno 2021. Ciò ha permesso di iniziare a sperimentare le prime comunità energetiche sul territorio nazionale. 

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Ma le possibilità sono ancora limitate. Attualmente esistono vere e proprie barriere a livello di configurazione, come ad esempio il perimetro delle comunità o la taglia massima degli impianti, che ne riducono le potenzialità. Un esempio? L’attuale sperimentazione prevede un limite di 200 kW nella taglia delle installazioni rinnovabili ammissibili. Secondo gli autori dello studio, il pieno recepimento delle Direttiva RED II e l’integrazione con quella per il mercato interno dell’energia elettrica (IEM) allargherebbe le maglie della regolazione.

Eliminare gli attuali vincoli permetterebbe nel futuro a breve termini di realizzare comunità energetiche in distretti industriali o artigiani, riunendo assieme la pluralità di attori che, tipicamente, operano lungo l’intera filiera di uno stesso comparto. O ancora si potrebbero applicare a contesti rurali caratterizzati da una bassa densità di popolazione, come ad esempio alcune realtà agricole o in contesti montani. In questo modo, spiega lo studio, le Energy Community potrebbero crescere e contribuire alla produzione energetica verde 2030 con circa 22,8 TWh.

Il nuovo sviluppo è associato anche a benefici economici e ambientali, con investimenti in nuova capacità rinnovabile stimati in 13,4 mld di euro nel periodo 2021 – 2030. Le risorse spese genererebbero ricadute economiche sulle imprese italiane attive lungo la filiera delle rinnovabili pari a circa 2,2 mld di euro in termini di valore aggiunto contabile. A ciò andrebbero poi ad aggiungersi un incremento del gettito fiscale di circa 1,1 mld di euro e una riduzione delle CO2 al 2030 stimata in 47,1 mln di tonnellate.

“Lo studio sulle comunità energetiche – aggiunge Zanchini – dimostra le grandi potenzialità nel nostro Paese di uno scenario di condivisione e autoproduzione dell’energia che ha grandi vantaggi perché permette di sviluppare le rinnovabili laddove c’è la domanda, nei quartieri, nei distretti produttivi, nelle aree interne e agricole. Per l’Italia vuol dire rilanciare il settore edilizio, che può puntare su progetti integrati di efficienza energetica e di rinnovabili con le comunità energetiche, ma anche con la connessione alla mobilità elettrica”.

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