Una nuova fonte d’alimentazione per l’Internet of Things (IoT)
Man mano che le nuove tecnologie digitali miniaturizzate aumentano la propria diffusione sul mercato globale, cresce anche la domanda di fonti di energia sostenibili. L’obiettivo principale del settore, soprattutto quando si tratta di dispositivi a basso consumo come i sensori IoT, è fare a meno di cavi e batterie a favore di modalità d’approvvigionamento più flessibili ed “autonome”. Si inseriscono in questi sforzi scientifici, le nuove celle microfotosintetiche realizzate dai ricercatori dell’Optical-Bio Microsystems Lab, presso la Concordia University, in Canada.
Vediamo nel dettaglio in cosa consiste questa tecnologia.
Celle microfotosintetiche, cosa sono e come funzionano?
Le celle microfotosintetiche (µPSC) sono celle a combustibile microbiche che generano energia elettrica attraverso lo sfruttamento di microrganismi o cellule viventi capaci di fotosintesi. Con la luce solare, questi organismi rilasciano elettroni attraverso reazioni di scissione dell’acqua. Un’attività che non si ferma neppure al buio ma con reazioni diametralmente opposte. Queste cariche possono essere raccolte attraverso fuel cell appositamente progettate per lo scopo.
Il vantaggio significativo delle µPSC è che sono costituiti da microrganismi con capacità di autoguarigione, caratteristica che consente loro di funzionare per lunghi periodi. E le ultime ricerche nel campo ne hanno progressivamente aumentato la densità di potenza. Tuttavia esistono ancora problemi non indifferenti. Spiega il team canadese: “la prestazione massima della singola cella microfotosintetica è limitata dalla termodinamica. La massima tensione terminale possibile che può essere generata da una µPSC è di soli 1,8 V. Pertanto, l’impiego in applicazioni in tempo reale con una sola µPSC non è fattibile. È essenziale realizzare configurazioni ordinate di più unità per ottenere la tensione e la corrente desiderate”.
Celle microbiche collegate in serie e in parallelo
Al momento esistono poche informazioni. In merito ma per gli scienziati, se configurate correttamente, queste celle potrebbero generare energia sufficiente per alimentare dispositivi a basso e bassissimo consumo come i sensori dell’Internet delle Cose.
“L’idea ala base di una fuel cell microfotosintetica è quella di estrarre gli elettroni prodotti attraverso il processo di fotosintesi”, spiega Kirankumar Kuruvinashetti, uno dei ricercatori. “La fotosintesi produce ossigeno ed elettroni. Il nostro modello intrappola gli elettroni, il che ci permette di generare elettricità. Quindi più che essere una tecnologia a emissioni zero, è una tecnologia a emissioni di carbonio negative: assorbe l’anidride carbonica dall’atmosfera e fornisce corrente. Il suo unico sottoprodotto è l’acqua”.
La nuova cella del gruppo impiega come organismo fotosintetico delle microalghe ed è costituita da due camere: una catodica riempita con ferricianuro di potassio ed una anodica contenente le alghe sospese in soluzione. Queste sono separate da una membrana a scambio protonico strutturato a nido d’ape. Gli scienziati hanno realizzato microelettrodi su entrambi i lati della membrana per raccogliere le cariche rilasciate.
Il funzionamento è semplice: le alghe poste sotto a sole attivano la fotosintesi, assorbendo anidride carbonica e rilasciando ossigeno ed elettroni. Quest’ultimi vengono raccolti attraverso gli elettrodi della membrana e condotti, creando una corrente. Nel contempo i protoni attraversano la membrana per entrare nella camera catodica dove riducono il ferrocianuro di potassio. Il processo funziona anche senza luce solare diretta, anche se a un’intensità inferiore e anche al buio, attivando la respirazione.
Il team ha testato diversi array di µPSC in serie e parallelo e anche se il risultato non può ancora competere con le celle solari, ritiene che ritiene che con ulteriori ricerche questa tecnologia possa divenire una fonte di energia praticabile, economica per il futuro.
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