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Batterie di funghi, l’energy storage nasce nel sottobosco

Le fibre di carbonio derivate da un tipo di funghi selvatici hanno dimostrato di sovraperformare gli elettrodi delle batterie agli ioni di litio

Batterie di funghi, l’energy storage nasce nel sottobosco

 

(Rinnovabili.it) – L’innovazione tecnologia in materia di energy storage si affida sempre di più all’architettura di Madre natura. L’ultima dimostrazione in tal senso arriva dalla Purdue University dove un gruppo di ricercatori ha creato degli elettrodi per batterie a partire da una specie di funghi selvatici, i Tyromyces fissilis.

“L’attuale stato dell’arte delle batterie agli ioni di litio deve essere migliorata, sia in termini di densità energetica che di potenza in uscita, al fine di soddisfare la futura domanda di accumulo di energia che richiederà la rete e i veicoli elettrici”, afferma l’ingegnere chimico Vilas Pol, autore della ricerca. “Quindi c’è un disperato bisogno di sviluppare nuovi materiali per l’anodo che ventino prestazioni superiori.”

 

Gli anodi o elettrodi negativi, nella maggior parte delle attuali  batterie agli ioni di litio  sono realizzati in grafite: durante la carica della batteria, gli ioni dell’elettrolita sono memorizzati a questo livello. Riuscire a sovraperformare questi elementi e farlo impiegando fonti di carbonio sostenibili, sarebbe per il settore dell’accumulo energetico una doppia vittoria. Pol insieme al collega Jialiang Tang ha scoperto che tutto ciò è possibile a partire da un semplice fungo: le fibre di carbonio derivate dal Tyromyces fissilis, una volta modificate con nanoparticelle di ossido di cobalto aumentano la convenzionale performance degli anodi.

Il design ibrido ha un risultato sinergico, spiega Pol. Sia le fibre di carbonio che le particelle di ossido di cobalto infatti sono elettrochimicamente attive, determinando un aumento della capacità. I primi dati sperimentali hanno dato regione all’ipotesi dei due ricercatori: gli elettrodi ibridi hanno una capacità stabile di 530 milliampere-ora per grammo, vale a dire una volta e mezzo in più rispetto alla capacità della grafite tradizionale.

Le fibre del fungo sono trattate a temperature elevate in una camera contenente gas argon usando una procedura chiamata pirolisi. Il procedimento restituisce lo scheletro di carbonio delle fibre, che assumono una disposizione disordinata e si intrecciano come spaghetti. “Esse – aggiunge Pol – formano una rete conduttiva interconnessa”. Tale rete velocizza il trasporto degli elettroni, portando di conseguenza a un tempo di ricarica ridotto.