(Rinnovabili.it) – Tra le urgenze imposte dal cambiamento climatico e dalla recente carenza di risorse per le note vicende belliche in Ucraina, l’energia sembra essere tornata al centro dell’attenzione di tutti. Lo sanno le famiglie, che nel 2022 hanno pagato in media quasi 800 euro in più per la materia prima gas ed elettricità, e lo sanno ancor meglio le imprese, che si sono viste aumentare le bollette del 110-140% rispetto allo stesso periodo nel 2021. Ed è proprio l’industria, con i suoi 34 Exajoule di energia consumata (42% della domanda globale), il settore in cui la Transizione ecologica può portare i benefici più significativi. E mentre molto si discute di riconversione green e dei passi che il singolo consumatore può fare per ridurre i consumi, molta meno attenzione riceve la strategia di riduzione di costi ed emissioni (a oggi) forse più efficace e immediata: l’efficienza energetica in ambito industriale. I tecnici la chiamano first-fuel: “L’efficienza energetica deve essere la priorità in tutti i settori, a cominciare da quello industriale”, sostiene Kevin Lane, senior program manager di IEA per l’efficienza energetica.
Ma come si fa a migliorare l’efficienza e risparmiare su costi e consumi? Ad aiutare le imprese, che non sempre dispongono del know-how e delle opportunità per cogliere questo enorme potenziale, arriva una guida operativa dall’Energy Efficiency Movement, il movimento globale lanciato da ABB che mette insieme oltre 200 tra le più importanti aziende e organizzazioni scientifiche del mondo. Il documento autorevole, a cui hanno partecipato tra le altre ABB, Alfa Laval, DHL Group, Microsoft, ETH di Zurigo e IEA, riassume una serie di interventi che le imprese possono implementare da subito. Dagli audit energetici alla digitalizzazione dei processi, dalla gestione smart degli edifici all’elettrificazione dei trasporti e della climatizzazione, fino alla sostituzione dei motori elettrici inefficienti o il retrofit con azionamenti a velocità variabile. Le soluzioni proposte dal report si basano su tecnologie mature e disponibili oggi sul mercato, con tanto di valutazione dei benefici e Tempi di ritorno dell’investimento (ROI).
Audit energetici delle attività operative
La prima azione di efficientamento in ambito industriale è senza dubbio condurre un audit energetico, ovvero un’analisi degli impianti di produzione mirata alla loro ottimizzazione. Un audit, o diagnosi energetica, è una valutazione condotta da specifiche aziende di servizi energetici (ESCo), che, sulla base di consumi storici e caratteristiche di funzionamento dei vari macchinari e processi, fornisce un’istantanea di quelli inefficienti o particolarmente energivori. Definito il quadro in termini di fattori di carico, fabbisogni energetici e relativi costi, è possibile individuare punti strategici su cui intervenire. Si stima che i risparmi di energia e costi derivati vadano dal 5-10% per misure a costo zero implementabili da subito, al 20-40% per interventi con investimenti di lungo periodo. “L’audit energetico – spiega Morten Wierod, presidente della business area Electrification di ABB – serve alle aziende per avere un quadro chiaro: anche solo installando sensori di monitoraggio dei consumi si possono avere risparmi comparabili all’installazione di pannelli solari sul tetto”.
Impianti ben dimensionati
Errori in fase di progettazione e condizioni operative diverse da quelle ipotizzate o che cambiano nel tempo: per queste ragioni, spesso, le apparecchiature tendono a essere sovradimensionate per il loro reale utilizzo. Il sovradimensionamento di un impianto è uno dei principali responsabili delle inefficienze e di consumi di energia eccessivi. Analizzare profili di carico e potenze dei macchinari è quindi il primo passo: l’obiettivo è allineare domanda e capacità erogabile per un utilizzo più efficiente. E se un semplice aggiornamento delle condizioni di lavoro non fosse sufficiente, può rendersi necessaria la sostituzione di una macchina con un’altra dimensionata più correttamente. A fronte di un investimento iniziale, i risparmi in questo caso si avrebbero su periodi più lunghi. Un esempio? “Gran parte dei motori elettrici industriali è sovradimensionato – risponde Adrian Guggisberg, capo della divisione Motion Services di ABB –. Far girare un motore al 65% di carico non è per nulla efficiente, sostituirlo con modelli in grado di operare con carichi al 95% aumenta significativamente l’efficienza”.
Connettività e Internet of Things
Recenti studi condotti da ABB dimostrano che solo il 35% delle aziende nel mondo implementa oggi tecnologie basate sull’Intenet of Things (IoT). Collegare le apparecchiature dell’azienda all’IoT significa equipaggiarle con sensori che le fanno dialogare e permettono un monitoraggio costante di tutti i flussi di energia scambiati. L’obiettivo è sempre quello di individuare i “punti deboli”, fonti di spreco non rilevate, settori particolarmente energivori su cui intervenire. Macchine difettose, sovradimensionate, non manutenute, utilizzo di elettricità laddove non serve e dispersioni di calore: in un impianto produttivo può andar perso fino al 95% dell’energia primaria immessa. Ma dove sono gli sprechi? Esempio classico sono i cosiddetti ghost assets, dispositivi che assorbono potenza senza svolgere compiti utili, che con l’IoT possono essere individuati ed eliminati, con benefici immediati in termini di costi ed emissioni. L’IoT inserito in un quadro più ampio di digitalizzazione dei processi genera poi i vantaggi maggiori. “Si può fare molto con dati raccolti a partire da tecnologie disponibili già oggi e applicabili da subito”, osserva Paul Röhrs, senior global digital advisor di Microsoft.
Motori elettrici ad alta efficienza
La gran parte delle applicazioni industriali funzionano grazie a motori elettrici e azionamenti a velocità variabile, noti come inverter o drives, che muovono ventole, pompe e compressori. Tanto che si calcola che oltre il 46% dell’elettricità totale prodotta sia assorbita da sistemi azionati da motori elettrici; macchinari spesso vecchi e inefficienti. “Nell’ultimo decennio – osserva Tarak Mehta, capo della business area Motion di ABB – questi componenti hanno vissuto un progresso tecnologico mai così rapido: i motori più recenti hanno dispersioni energetiche fino al 15% inferiori rispetto ai modelli precedenti”. Il passaggio a modelli più nuovi in classe IE4 – il livello maggiore di standard di efficienza stabilito dalla Commissione Elettrotecnica Internazionale (IEC) – richiede costi iniziali maggiori del 40% rispetto alle alternative meno efficienti. Ma i risultati sono immediati e ripagano talvolta l’investimento già durante il primo anno dalla sostituzione.
Retrofit con azionamenti a velocità variabile
Il funzionamento dei quasi 300 milioni di motori elettrici che muovono le fabbriche del mondo avviene per la gran parte a velocità costante. Il movimento è a giri fissi, con regolazioni tramite valvole (per i fluidi), serrande (per l’aria) e freni (per i materiali). “E’ come frenare senza togliere l’altro piede dall’acceleratore”, nota ancora Guggisberg di ABB. Un grande spreco di energia, insomma. Il consumo energetico va calibrato invece in modo intelligente a seconda del carico di lavoro da svolgere, meccanismo possibile grazie agli azionamenti a velocità variabile, che regolano costantemente coppia e velocità del motore e ottimizzano il processo. L’installazione di un inverter è un intervento molto semplice che, senza alcuna modifica alla catena industriale, può migliorare l’efficienza di un motore elettrico esistente fino al 30%, con tempi di ritorno dell’investimento intorno a 1-2 anni.
Elettrificazione e digitalizzazione delle flotte aziendali
L’autotrazione elettrica sta diventando sempre più attrattiva, tra costi delle batterie in diminuzione e prezzi di petrolio e gas in aumento. Preferire la propulsione elettrica ai motori a combustione interna fossile su veicoli industriali come furgoni, carrelli elevatori e tir significa passare da rendimenti che per i motori diesel non superano il 45%, a efficienze che a carico ottimale raggiungono il 95% per quelli elettrici. E se il vincolo più grande rimane l’investimento iniziale (i veicoli elettrici per il trasporto merci sono più costosi rispetto a quelli tradizionali), i costi di gestione sono in media inferiori anche del 60% rispetto ai motorizzati diesel, grazie a consumi più contenuti, meno manutenzione e maggiore efficienza. È possibile poi ottenere guadagni ulteriori con la gestione digitale delle flotte. “Ottimizzare la flotta aziendale è il primo passo per ridurre le emissioni e i consumi”, sottolinea Florence Noblot, capo della Corporate governance Ambiente di DHL Supply Chain, la multinazionale tedesca della logistica.
Scambiatori di calore efficienti
Gli scambiatori di calore sono un componente cruciale per l’industria di tutto il mondo. Si stima che di tutta l’energia “immessa” nel settore industriale, una quota variabile tra il 20 e il 50% a seconda delle applicazioni venga persa in ambiente sotto forma di calore (gas di scarico, acque di raffreddamento, torri evaporative). Recuperare questa energia con scambiatori efficienti è quindi cruciale. Oggi gli scambiatori vengono di rado sottoposti a pulizia, manutenzione e ottimizzazione, essendo componenti run-to-failure, in operazione fino al guasto. Una revisione delle performance degli scambiatori può essere effettuata da ESCo o da fornitori specializzati, che possono poi consigliare aggiornamenti o sostituzioni dei componenti.
Uno scambiatore di calore a piastre, ad esempio, pesa fino a 16 volte di meno e ha ingombri 10 volte inferiori a parità di potenza rispetto a un modello più vecchio a fascio tubiero e mantello. E poi costi iniziali ridotti, Opex inferiori ed efficienze del 25% maggiori. “Il 2,5% delle emissioni globali di CO2 proviene dal trasferimento di calore inefficiente all’interno di scambiatori di calore che necessitano solo di pulizia o manutenzione”, spiega Kajsa Dahlberg, cleantech business developer di Alfa Laval, leader globale nella costruzione di scambiatori di calore. E prosegue: “adottando misure semplici, i consumi energetici si riducono immediatamente”.
Pompe di calore al posto delle caldaie fossili
Altro intervento dall’impatto potenzialmente molto elevato è la sostituzione delle caldaie a combustibile fossile con le pompe di calore. Secondo stime di IEA, entro il 2050 oltre la metà delle abitazioni del mondo si scalderanno con elettricità. In ambito industriale, le pompe di calore sono in grado di riutilizzare il calore di processo e raggiungono temperature di 180 °C. Le pompe di calore industriali arrivano a costare anche 90 mila dollari, ma sono di gran lunga lo strumento più efficiente per ricavare calore a bassa-media temperatura da elettricità. E i risparmi in termini di consumi ed emissioni cominciano dal primo anno di installazione: con una vita utile garantita 25 anni, si ripagano al massimo in 5 anni.
Sistemi di gestione smart degli edifici (BMS)
Al contrario degli edifici residenziali, fabbriche, magazzini e capannoni vengono progettati con un’ottica di contenimento dei costi e raramente il focus è sulle loro prestazioni energetiche. Quasi il 50% dei consumi negli edifici commerciali è impiegato per la climatizzazione e addirittura il 35% viene sprecato per inefficienze, progettazione sbagliata o utilizzo non ottimale degli impianti. I siti industriali possono risparmiare energia installando sistemi digitali Building Management System (BMS) per il controllo di climatizzazione, illuminazione e tutte le altre apparecchiature. Con i BMS uniti alla connessione IoT si “automatizzano” gli edifici e si monitorano tutte le apparecchiature elettriche e meccaniche. L’obiettivo è adattare le condizioni dell’edificio in tempo reale alle esigenze dei lavoratori e della produzione, invece di tenere riscaldamento, raffrescamento e ventilazione sempre accesi. I benefici? Taglio alle emissioni dalla climatizzazione per oltre il 40%, riduzione dei costi energetici del 25% e allungamento della vita utile delle apparecchiature con punte del 50%. Secondo i calcoli più recenti, l’investimento per sistemi di gestione energetica smart si ripaga in meno di un anno.
Dati in cloud
Tutte (o quasi) le opportunità di efficientamento energetico viste finora necessitano di grandi capacità di accumulo ed elaborazione dei dati. E per farlo serve molta energia. Basti pensare che i datacenter di tutto il mondo consumano in un anno dai 220 ai 320 TWh di elettricità, circa lo 0,9-1,3% del fabbisogno totale. Per capirci, quantità comparabili a quelle di grandi Paesi industrializzati come l’Italia o il Regno Unito. Virtualizzazione dei server e cloud computing sono strategie da percorrere per migliorare l’efficienza energetica di un settore, quello dei servizi digitali, che è previsto in crescita esponenziale nei prossimi anni e di conseguenza consumerà ed emetterà sempre di più. Trasferire i dati in cloud significa monitorare costantemente apparecchiature e processi industriali per ottimizzarli. Si calcola che i datacenter in cloud abbiano efficienze di oltre il 90% superiori ai sistemi tradizionali on-premise. “La nostra piattaforma cloud pubblica Microsoft Azure arriva a far risparmiare il 93% dei consumi con efficienza carbonica fino al 98% superiore”, sottolinea Christoph Pawlowski, Industry advocate for sustainabilty di Microsoft.
In collaborazione con ABB