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Da Confindustria alle associazioni un coro di no per lo Spalma incentivi

Gli industriali chiedono di cambiare lo spalma incentivi, Anie rinnovabili e Coordinamento Free si associano. Intanto partono i primi 100 ricorsi da parte degli investitori

Da Confindustria alle associazioni un coro di no per lo Spalma incentivi_600

 

(Rinnovabili.it) – Lo spalma incentivi non piace a nessuno. Dopo il no della commissione Bilancio del Senato sono arrivate anche le reazioni di Confindustria, che chiede di emendare il provvedimento soprattutto per quanto riguarda il fotovoltaico. L’idea di viale dell’Astronomia è sostituirlo con obbligazioni emesse dal Gse, che sarebbero in grado di ridurre gli oneri nel breve periodo per aumentarli poi nel medio-lungo. Il gestore del servizio avrebbe, se la proposta andasse in porto, il compito di raccogliere risorse sul mercato finanziario: la cifra sarebbe stabilita ogni anno dal ministero dello Sviluppo economico sulla base dei trend economici e della differenza di prezzo dell’energia elettrica tra Italia e altri Paesi comunitari.

 

Plaude a questa proposta anche Anie rinnovabili, la Federazione nazionale delle imprese elettriche ed elettrotecniche. Il presidente Emilio Cremona non ha peli sulla lingua: “La retroattività del provvedimento è inaccettabile. Auspico quindi che i legislatori accolgano le richieste di Confindustria, poiché l’attuale proposta del Governo per abbassare il costo della bolletta elettrica rischia di diventare un boomerang per tutto il Sistema Paese, allontanando anche quegli investitori italiani e stranieri che hanno in questi giorni espresso la loro forte preoccupazione per gli investimenti già fatti, per i quali temono di vedere compromesso il rendimento”.

 

E sono proprio 100 investitori stranieri ad aver annunciato ricorsi attraverso procedure di arbitrato previste dal Trattato internazionale della Carta dell’energia. Le misure del governo andrebbero a ledere i principi sottoscritti con quell’accordo in ogni caso: sia che si scelga di ridurre gli incentivi dal 25% al 19% spalmandoli su un periodo di tempo maggiore (4 anni in più), sia che si decida di tagliare subito un 8%. L’aiuto statale garantiva agli investitori una certa copertura del rischio imprenditoriale, e la decisione di palazzo Chigi ora ne mina le premesse. Anche perché le assicurazioni non sembrano poter coprire tutti i danni, mandando in perdita gli investimenti delle aziende italiane ed estere che avevano usufruito di una facilitazione. Il rischio per l’Italia è di subire una condanna in arbitrato e costringere lo Stato, cioè i contribuenti, a risarcire profumatamente le imprese in causa.

 

Si fa sentire sul tema anche il Coordinamento Free (Fonti rinnovabili ed efficienza energetica), per bocca del suo numero uno, Gianni Silvestrini: “Il mondo delle rinnovabili rimane seriamente preoccupato per una serie di norme che mettono in pericolo posti di lavoro e pregiudicano fortemente il settore. Abbiamo presentato al Parlamento le nostre proposte di modifiche al decreto. Queste misure cambiano le regole del gioco mentre la partita è in corso, e non offrono un’immagine di Paese affidabile”.