Lanciato nel 2021, il progetto ha la particolarità di essere gestito interamente da un soggetto pubblico, la Comunità Collinare del Friuli, un’unione tra 15 Comuni fra Udine e Pordenone. Rinnovabili.it ha raggiunto il presidente della CCF, Luigino Bottoni, per una panoramica delle lezioni apprese e di cosa serve a livello normativo per semplificare la realizzazione di una CER in Italia
(Rinnovabili.it) – E’ stata una delle prime comunità energetiche rinnovabili (CER) realizzate in Italia. Porta avanti un modello particolare: la CER è gestita interamente da un soggetto pubblico, la Comunità Collinare del Friuli (CCF), un’unione di 15 Comuni a cavallo tra le province di Udine e Pordenone. Il progetto iniziale, lanciato nel 2021, si conclude a fine 2023. È tempo di bilanci per RECOCER (Regia coordinata dei processi di costituzione di Comunità Energetiche Rinnovabili sul territorio): Rinnovabili.it ne ha parlato con il presidente della CCF, Luigino Bottoni.
Qual è lo stato attuale di avanzamento del progetto?
Abbiamo individuato circa 40 impianti fotovoltaici sui 15 Comuni della Comunità Collinare del Friuli che andranno a formare le comunità energetiche. Una decina sono già realizzati o autorizzati, gli altri sono in via di realizzazione. Le procedure autorizzative per questi ultimi sono più o meno allo stesso stadio di avanzamento, ci aspettiamo che arrivino pressoché tutte insieme.
Di quante CER stiamo parlando?
Stiamo attendendo la possibilità regolamentare di costituire una comunità energetica rinnovabile (CER) per ogni cabina primaria. Questo significherebbe che nel nostro territorio potremmo costituire 4-5 CER con una pluralità di impianti. Altrimenti, ne dovremo costituire una per impianto.
Qual è la dimensione di RECOCER, da progetto?
Il progetto prevede 2,2 MW. Andremo a coprire quindi una porzione molto piccola dei consumi dei 50.000 abitanti totali e delle attività della CCF. Siccome le CER, per come la vediamo noi, dovrebbero autoalimentarsi con l’arrivo di consumatori e produttori nuovi che la sviluppano, quello che abbiamo fatto finora è un aggregato iniziale che dovrebbe poi ampliarsi col passare del tempo in tutte le sue dimensioni.
Ci sono stati dei ritardi?
Non abbiamo potuto rispettare al 100% il cronoprogramma che prevedeva di ultimare gli impianti entro il 2023 per alcune difficoltà: la mancanza del regolamento attuativo, difficoltà amministrative nel configurare il rapporto tra la CCF e i Comuni, l’allacciamento col GSE. La regione ci ha già dato la proroga di 1 anno perché ci sono delle difficoltà diverse da quelle che si potevano immaginare all’inizio; dobbiamo rendicontare entro il 2024.
Secondo lei cosa manca a livello normativo per rendere più semplice la creazione di una CER?
Manca la possibilità di allacciamento alla cabina primaria: è il punto più importante, è il discrimine tra il mantenere le CER a un livello sperimentale, limitate nello spazio e nella potenza, e farle passare allo stato attuativo. È servito l’ampliamento a 1 MW di potenza: abbiamo impianti fotovoltaici di piccola taglia da 30-150 kW, ci serve accorparli. Attendiamo anche semplificazioni amministrative, burocratiche, nella documentazione da presentare al GSE e nei suoi tempi di risposta. Tutti elementi che servono per rendere la CER più semplice: in questo momento c’è una complessità tecnica che può essere gestita solo da professionisti. Solo la quantità di dati che il GSE richiede è molto alta, se non si ha una certa capacità di gestione di questi dati ci si perde.
Il modello RECOCER è replicabile altrove, e se sì a quali condizioni?
Le CER sono uno strumento molto flessibile e si integrano molto con l’ambiente per il quale sono state immaginate. Hanno quindi tante variabili e sono possibili tanti modelli diversi. Il nostro è un modello particolare: noi abbiamo un finanziamento pubblico di 5,4 milioni dalla regione Friuli, che non deve essere restituito e quindi sostiene l’investimento in maniera ancora più determinante. Questo porta con sé alcune condizioni. Gli impianti devono necessariamente essere realizzati su superfici di proprietà pubblica. La CCF è ente di 2° livello, un’unione di Comuni: non possiede superfici, le superfici le hanno i Comuni associati. Questi elementi limitano la replicabilità del modello RECOCER.
È però replicabile l’esperienza: ovvero, che la CER sia interamente gestita da un ente pubblico. Anche senza l’intermediazione di un ente di 2° livello com’è la Comunità Collinare del Friuli, può essere gestita direttamente dal Comune stesso.
Collaborate con altre CER in Italia?
Con Magliano Alpi, la 1° comunità energetica rinnovabile in Italia, abbiamo una convenzione di collaborazione. Ci scambiamo dati, esperienze, buone pratiche, i problemi insorti e come sono stati risolti. Inoltre, partecipiamo a molti incontri con enti pubblici ed anche privati e mettiamo a disposizione la nostra esperienza.
Come si dovrebbe muovere il governo per supportare la creazione di nuove CER?
Primo, il governo dovrebbe emanare il regolamento attuativo della legge sulle CER. Secondo, c’è una problematica relativa agli aiuti di Stato. In alcuni casi il finanziamento pubblico potrebbe configurare un aiuto di Stato e si porta a traino ancora più burocrazia. Bisognerebbe svincolare il tema degli aiuti di Stato da quello delle comunità energetiche. Terzo, semplificazione burocratica. Quarto, messa a disposizione di strumenti consulenziali, ad esempio un dipartimento presso il GSE o RSE. Quinto, favorire la realizzazione delle CER con più incentivi, oltre la detrazione fiscale e l’incentivo del GSE.
E dopo il 2023?
Per il futuro puntiamo a espandere l’esperienza all’interno della CCF, sempre con finanziamenti pubblici. La regione Friuli potrebbe rifinanziare la CER, oppure si potrebbe sfruttare fondi previsti dal PNRR per le CER nei Comuni sotto i 5000 abitanti.
(lm)