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Comunità energetiche, la dimensione umana della transizione ecologica

Vantaggi e potenzialità delle comunità energetiche rinnovabili in Italia

(Rinnovabili.it) – Rendere i cittadini partecipi del percorso di transizione ecologica. Questo l’obiettivo con cui si stanno diffondendo, in Italia ed in Europa, nuovi modelli di produzione rinnovabile all’insegna della democrazia energetica. Parliamo delle prime esperienze di autoconsumo collettivo e comunità energetiche rinnovabili (CER), innovativi approcci al percorso di decarbonizzazione comunitario. A raccontarne buone pratiche e potenzialità è il webinar “Comunità energetiche, motore per la transizione ecologica?” organizzato da Rinnovabili.it, il quotidiano della sostenibilità ambientale, in collaborazione Borghi Autentici d’Italia, l’associazione che riunisce piccoli e medi comuni attorno all’obiettivo di un modello di sviluppo locale sostenibile.

“Questi innovativi modelli di condivisione energetica sono stati sviluppati in Italia a partire dal decreto Milleproroghe 2019 – spiega in apertura dell’incontro Mauro Spagnolo, direttore di Rinnovabili.it. – E da allora si è registrato un gradissimo movimento e un’altissima attenzione sul tema, non solo da parte degli stakeholder ma anche degli utenti”. Oggi sono oltre un centinaio le realtà italiane ad aver pianificato o iniziato a realizzare un progetto di “condivisone energetica e autoconsumo diffuso”. Ma per affrontare il tema, sottolinea Spagnolo, “si deve innanzitutto immaginare le nuove tecnologie su cui tali modelli si poggiano”, dalle smart grid alla digitalizzazione dell’energia, dagli impianti d’accumulo domestici alla mobilità elettrica. D’altra parte l’innovazione è la cifra che contraddistingue le prime iniziative di autoconsumo collettivo e CER, esperimenti come la comunità energetica di Napoli o quella di Magliano delle Alpi

Un progresso tecnologico che nel Belpaese potrebbe permettere a ben 1.200.000 condomini di partecipare alla transizione ecologica dalle prime file, come sottolinea Gianni Girotto, Presidente Commissione del Senato Industria, Commercio e Turismo. “Le potenzialità sono molto ampie, ma è difficile fare delle previsioni perché non esiste un programma politico-pubblico di sviluppo”. Esistono però delle opportunità. Quelle offerte oggi dal Milleproroghe e dagli incentivi dedicati, e domani dai fondi del PNRR e dalle nuove norme attuative. Girotto riporta esempi concreti. Se fino ieri installare un impianto fotovoltaico sul tetto di un condominio significava poter alimentare solo scale e vano ascensore (con un recupero dell’investimento lontanissimo nel tempo), ora per le famiglie hanno la possibilità di risparmiare in maniera sensibile. Potendo condividere quella stessa energia tra gli appartamenti, si può ottenere “un 20-25% di risparmio in bolletta“. 

Facilitare le nuove realtà di democrazia energetica permetterà, inoltre, di trasformare i moltissimi comitati NIMBY sul territorio, che oggi si oppongono alla realizzazione di nuovi impianti energetici, in gruppi proattivi. Una mano dal basso alla transizione ecologica, in grado di comportare anche risparmi strutturali per tutta la nazione“. “Più energia rinnovabile produciamo, più si abbassa l’energia all’ingrosso; più energia viene autoconsumata, più calano gli oneri in bolletta”.

Il lato sociale e aggregativo delle CER può portare benefici anche alla tutela del territorio, soprattutto nel caso dei piccoli borghi, come spiega Rosanna Mazzia, Presidente Associazione Borghi Autentici d’Italia. In questo contesto le comunità energetiche potrebbero essere una delle risposte al problema dello spopolamento e alla preservazione attiva dell’identità del borgo. “Siamo interessati al valore sociale del progetto, ossia la capacità di mettere assieme le persone. Questo senso di comunità ha anche un valore pedagogico”. Due sperimentazioni, a questo livello, sono già partite e riguardano il comune di Biccari (FG) e quello di Miglierina (CZ). E altre seguiranno. “I borghi con meno di 5mila abitanti sono tantissimi e ospitano almeno 10 milioni di persone, numeri che possono essere interessanti anche sotto il profilo della sostenibilità energetica”.

‘L’unione fa la forza’ è leitmotiv della democrazia energetica ma costituisce anche il nuovo approccio su cui imporre lo sviluppo del sistema elettrico nazionale. “Le singole comunità impostate sull’autoconsumo possono diventare degli ulteriori e più efficienti fornitori di servizi ancillari”, sottolinea Maurizio Delfanti, AD RSE. “Il modello bottom up (di cui le CER sono l’esempio più fortunato) può entrare in competizione e progressivamente rimpiazzare l’utilizzo delle fonti fossili nei grandi impianti anche per i servizi di rete. Più saremo in grado di far questo, più sarà possibile aumentare il beneficio reale”. Ma per accelerare il percorso, aggiunge Delfanti, è fondamentale anche l’azione di regolamentazione regionale: proposte di legge complementari al quadro nazionale o strumenti come sportelli energia informativi o fondi speciali, per sostenerne l’applicazione.

Ma come funziona davvero l’energy sharing nel Belpaese? A spiegarlo è Davide Di Giuseppe, responsabile della funzione autoconsumo e comunità energetiche del GSE. L’Italia ha adottato un modello di condivisione dell’energia ‘virtuale’. Si fa un bilancio orario fra l’energia immessa dagli impianti rinnovabili del gruppo o della comunità e l’energia che viene prelevata dalla rete dagli stessi soggetti. Non c’è quindi una rete privata per lo scambio. Ciò comporta delle semplificazioni” in termini di immediatezza del modello, di costi e di efficienza.

Al GSE spetta il compito di erogare gli incentivi previsti per queste forme aggregative. Da un lato la restituzione di alcune componenti tariffarie in bolletta per il minor utilizzo della rete elettrica (circa 9 euro/MWh); dall’altro un incentivo vero e proprio sull’energia condivisa pari a 100 euro/MWh per l’autoconsumo collettivo e 110 euro/MWh per le CER. “L’energia elettrica può anche essere valorizzata attraverso la vendita sul mercato o chiedendone al GSE il ritiro”. Ma al di là del beneficio economico, la nascita dei nuovi prosumer offre anche un vantaggio ambientale. “Costituiscono probabilmente la forma più sostenibile di sviluppo delle fonti rinnovabili – aggiunge Di Giuseppe – grazie ad un minimo consumo del suolo […] e a una maggiore accettazione sociale”.

Perché si rivelino un’esperienza di successo le CER devono anche considerare le specificità dei territori, sottolinea Carlo Salvemini, Sindaco di Lecce e delegato Anci all’energia e ai rifiuti. In tema energetico, “con il coinvolgimento dei cittadini e dei comuni si possono evitare gli effetti dispersivi e speculativi di siamo stati e siamo ancora testimoni in alcuni territori […] ma come Anci sappiamo che ci sono anche nodi da sciogliere dal punto di vista di regolatori, organizzativo e tariffario”. L’attesa è tutte riversata sui nuovi decreti del MiTe che dovrebbero attuare le norme inserite nella legge di delegazione europea. “È comunque necessaria una revisione complessiva delle norme e degli strumenti affinché i cittadini possano stoccare e immettere in rete l’energia non autoconsumata – aggiunge il sindaco – rivedendo le tariffe di immissioni che sono oggi disincentivanti”. Salvemini punta l’accento anche su un coordinamento nazionale a supporto delle amministrazioni locali e su procedure d’attivazione più semplici e standardizzate.

Secondo Luca Di Domenico dell’Associazione Borghi Autentici d’Italia “la rivoluzione della figura del prosumer e della Comunità energetica è stata accolta positivamente dai territori. Quello che riscontriamo però è la difficoltà di raccontare e favorire con la partecipazione delle comunità”. Come aumentare il coinvolgimento? Secondo Di Domenico l’approccio impiegato deve essere necessariamente quello dal basso, coinvolgendo i cittadini fin dalle fasi iniziali. E permettendo alle amministrazioni locali di dare il buon esempio. Un’idea potrebbe essere realizzare impianti rinnovabili su edifici pubblici mettendo a disposizione della cittadinanza l’energia prodotta. “Ciò permette di avere un maggior livello di adesione, curiosità e anche fiducia”.

Un esempio concreto di questa fiducia arriva da Gianfilippo Mignogna, Sindaco di Biccari e Vice Presidente dell’Associazione Borghi Autentici d’Italia. Il primo cittadino ha raccontato l’esperienza del comune foggiano, piccola realtà ma già avvezza alla sostenibilità energetica. Biccari vanta 200 kW di fotovoltaico sui tetti, misure di efficientemente edilizio, colonnine di ricarica per l’e-mobility, illuminazione pubblica a LED e impianti a terra. Oggi è pronta al passo successivo, ossia inaugurare un progetto di comunità energetica a partire dagli immobili di edilizia popolare. “Non vuole esser solo uno strumento contro la povertà energetica ma anche una risposta sociale e culturale”. (Leggi anche La Comunità Energetica come risposta al paradosso dei Monti Dauni).

È sceso invece nei dettagli pratici dell’organizzazione di una CER, Emilio Sani dello Studio Sani Zangrando. I passi fondamentali? L’individuazione dei membri, la formazione di un’associazione senza scopo di lucro che raggruppi i soggetti; la stipula di un accordo tra i membri su come ridistribuire i ricavi; la realizzazione dell’impianto. Su quest’ultimo punto Sani ci tiene a sottolineare come “la comunità energetica si presenta come un sistema per fare impianti senza costi di investimento diretto”.

Uno degli strumenti utilizzabili è il finanziamento inserito nel PNRR per le comunità dell’energia nei comuni fino a 5mila abitanti. In alternativa è possibile trovare un operatore esterno che metta a noleggio l’impianto alla comunità, ripagando il canone con gli incentivi incassati. Entrate “tre volte superiori al valore dell’energia prodotta” e “neutre dal punto di vista fiscale”; fatto salvo se la comunità produce più di quello che autoconsumo, divenendo il surplus alla rete.Senza contare che per i lavori di installazione degli impianti fotovoltaici fino a 200 kW da parte di comunità energetiche (non commerciali) o da parte di condomìni esiste la possibilità di richiedere il superbonus 110%.

Esperienza di successo è anche quella di Magliano Alpi, prima vera comunità energetica rinnovabile nata in Italia. “Magliano ha dimostrato che si poteva fare, facendo convergere competenze e disponibilità della macchina amministrativa locale“, spiega Sergio Olivero, dell’Energy Center del Politecnico di Torino e presidente comitato scientifico CER Magliano. Oggi il comune piemontese rappresenta il catalizzatore di un processo che punta alla replicazione sistematica dell’esperienza. “Esistono una ventina di comuni che stanno definendo delle modalità di collaborazione con Magliano”. La condivisione del know-how, in questo senso, è essenziale e l’articolo 15 del testo unico enti locali potrebbe costituire il giusto strumento giuridico per promuoverla. Oliviero sottolinea come le CER non siano solo sinonimo di risparmio. Questi modelli permettono anche di aggregare le filiere locali di progettisti, installati e manutentori, lasciando il valore aggiunto a livello locale”.

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