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Comunità Energetiche Rinnovabili in Italia, a che punto siamo?

Comunità Energetiche Rinnovabili in Italia

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Comunità Energetiche Rinnovabili in Italia
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I numeri delle Comunità Energetiche Rinnovabili in Italia

(Rinnovabili.it) – Con la firma del Decreto CACER e la pubblicazione delle regole operative del GSE, le Comunità Energetiche Rinnovabili in Italia sono pronte a spiccare il volo. O quasi. La strada per le nuove configurazioni dell’energy sharing non è completamente sgombra e la lunga attesa normativa ha lasciato parecchi segni sul tracciato. Degli almeno 400 progetti di autoconsumo diffuso proposti in questi anni, oggi risultano in esercizio solo 154 iniziative tra CER e condomini di prosumer. Un numero che impallidisce in confronto all’esperienza di grandi paesi europei con la Germania o i Paesi Bassi che già nel 2021 contavano rispettivamente oltre 1.700 e 700 Comunità.

A fare il punto della situazione è oggi il nuovo rapporto redatto da Legambiente in collaborazione con il GSE e presentato stamane a KEY The Energy Transition Expo, nell’ambito della campagna “BeCome – dai borghi alle comunità energetiche”. Cosa racconta il documento? Che la maggior parte delle esperienze sono concentrate nel Nord Italia, con Piemonte, Veneto e Trentino-Alto Adige che si fanno notare per il più elevato numero di configurazioni attive.

CER, dalle direttive UE alle norme italiane

In realtà le prime esperienze di Comunità Energetiche Rinnovabili in Italia sono cominciate addirittura negli anni 2000. Piccoli esperimenti dal basso senza alcun incentivo di sostegno, né un inquadramento normativo dedicato. E con l’impossibilità di vendere l’energia prodotta al mercato elettrico. Nel 2016 il celebre pacchetto “Energia pulita per tutti gli europei” proposto dalla Commissione UE, ha cambiato le carte in tavola riconoscendo e rafforzando ufficialmente il ruolo centrale che i cittadini e le comunità possono svolgere nella transizione energetica. Ma soprattutto codificando nuove configurazioni con cui i cosiddetti “energy citizens” possono partecipare al mercato energetico.

Il processo per trasformare il pacchetto in atti giuridici e quindi introdurli nei vari ordinamenti nazionali è stato lungo. Lato CER ed autoconsumo in Italia si è concluso a dicembre 2021 con il recepimento della Direttiva RED II dando poi il via ai lavori su DM attuativo (cd. Decreto CACER). In altre parole dalla proposta all’operatività – segnata dalla pubblicazione delle regole operative del GSE solo qualche giorno fa – sono passati ben quasi otto anni.

In tutto questo tempo, tuttavia, il Belpaese non è rimasto completamente immobile. Nel 2020 grazie al Milleproroghe l’Italia ha introdotto in via sperimentale le prime  norme per l’attuazione dell’autoconsumo collettivo e delle comunità energetiche rinnovabili. Assegnato i primi incentivi all’energia condivisa “virtualmente”.

Comunità energetiche rinnovabili, l’impegno delle Regioni

Le nuove norme e risorse dedicate dovrebbero dare una scossone al settore. Secondo stime dello stesso ministero dell’Ambiente le nuove tariffe incentivanti dovrebbero sostenere almeno 210mila iniziative. Ma in attesa del Decreto CACER anche molti territori si sono mossi a supporto delle Comunità rinnovabili. Secondo il report di Legambiente sono 15 le amministrazioni ad aver sviluppato una legge regionale/provinciale dedicata. Parliamo di: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Trento, Veneto. Tra queste realtà 13 hanno anche stanziato importanti risorse economiche: “oltre 30 milioni di euro sulla base dei fondi nazionali previsti dal PNRR e al bando nazionale di Fondazione con il Sud”.

A ciò si aggiungono otto Regioni con programmi di finanziamento pubblico, per più di 34 milioni complessivi, e due programmi di finanziamento privati

CER ed autoconsumo diffuso, le criticità

Vi sono, tuttavia, ancora alcuni nodi da sciogliere e su cui Legambiente chiede oggi interventi veloci e pragmatici. Ad esempio, il mancato scorporo diretto in bolletta per l’energia condivisa. “Senza questo meccanismo”, spiega l’associazione, gli utenti “pagheranno comunque l’energia per intero in bolletta per poi vedersi riconoscere le risorse economiche derivanti dall’energia immessa in rete e dall’incentivo per quella condivisa, con tariffe molto diverse tra loro”. Riflettori puntati anche sul limite della cabina primaria per i piccoli comuni, dei quartieri e strade che ricadono in aree di pertinenza di più cabine primarie“. L’associazione propone anche di studiare tariffe incentivanti diverse per tecnologie rinnovabili diverse (viste le differenze di costo) e di prevedere norme e incentivi anche per quelle realtà che vogliono condividere energia termica rinnovabile.

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