Dove intervenire per aiutare lo sviluppo delle comunità energetiche in Italia
(Rinnovabili.it) – Le comunità energetiche in Italia hanno messo radici, ma la strada verso la piena maturità è ancora lunga. Grazie a norme ed incentivi dedicati, i primi progetti hanno fatto capolino nel mondo dell’energia distribuita, promettendo benefici per società, transazione ecologica e rivoluzione digitale. Eppure alcuni nodi rimangono come dimostra il nuovo studio di Elemens per Legambiente ed Enel Foundation Knowledge Partner. Il documento, presentato ieri in un evento on line, mette a fuoco la produzione e la condivisione di energia da fonti rinnovabili a livello nazionale.
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“Le Energy Communities appaiono come una soluzione innovativa e sostenibile nel settore energetico per avvicinarsi alle zero emissioni […] – scrive Enel Foundation – “coinvolgendo il maggior numero possibile di attori sociali e puntando i riflettori sull’impegno attivo a causa della vicinanza geografica tra produzione e consumo di energia. A livello sociale questa rivoluzione energetica potrebbe portare anche a un cambiamento culturale“
Due proposte per le REC
Ma per esprimere a pieno tutte le potenzialità delle comunità energetiche in Italia è necessario ancora spianare la strada. In questo contesto lo studio elabora alcune proposte per superare gli attuali vincoli. A cominciare dei criteri di dimensionamento sia delle comunità che degli impianti.
Oggi la normativa di settore, permette a impianti e clienti finali di «associarsi» in una REC (Renowable Energy Community) qualora siano tutti collegati alla rete di Bassa Tensione e siano sottesi alla medesima «cabina di trasformazione MT/BT». Un criterio essenziale, in un primo momento, per giustificare la restituzione ai clienti delle componenti della bolletta legate all’uso della rete elettrica. Tuttavia l’allargamento del perimetro consentirebbe di ingaggiare categorie oggi non raggiungibili e aree demograficamente meno dense.
Lo studio suggerisce di abbandonare il criterio “elettrico” a favore di uno di tipo “geografico/amministrativo“. “Adottando un criterio simile, si anteporrebbe la semplicità gestionale e operativa, probabilmente uno dei fattori chiave nel successo dei modelli, alla corrispondenza tra partite commerciali e fisiche: verrebbe dunque superato il […] concetto di sovrapponibilità tra scambi di potenza fisici e virtuali – allontanandosi da perimetri limitati (es: stessa via) ed avvicinandosi ad aree più estese (es: medesimo comune, CAP, provincia) l’autoconsumo virtuale si discosta sempre più da un sistema di simulazione di scambi fisici diventando semplicemente un meccanismo di gestione di partite commerciali)”. Anche allentando il tetto di potenza per gli impianti si faciliterebbe un allargamento del perimetro consentendo di sfruttare al meglio le economia di scala.
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Altro nodo: la definizione dei sussidi. L’attuale sistema incentivante premia l’energia condivisa mediante una tariffa unica. Ossia 100 €/MWh per autoconsumatori collettivi, 110 €/MWh per energy community, senza tener conto delle taglie impiantistiche. Ma per le piccole installazioni i costi livellati della produzione energetica sono ancora elevati e potrebbero essere insostenibili senza i benefici di strumenti come il superbonus 110%.
“In assenza un extra-valore – si legge nel report – […] non si ravviserebbe alcuna convenienza da parte dei partecipanti (che appunto, cederebbero/acquisterebbero energia a prezzi di mercato) alla costituzione del modello. Anche per tale ragione, già all’interno delle direttive, è prevista esplicitamente la possibilità di riconoscere alle varie configurazioni delle forme di sostegno”.
Leggi qui lo studio completo “Le comunità energetiche come motore di innovazione e resilienza del sistema energetico”