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CER e Autoconsumo, il ruolo della Ricerca di Sistema ieri, oggi e domani

CER e Autoconsumo, il ruolo della Ricerca di Sistema ieri, oggi e domani
via depositphotos

La direttiva europea 2018/2001 sulle fonti rinnovabili (anche nota come RED II) e la 2019/944 sul mercato elettrico hanno impresso una vistosa spinta alla transizione energetica dal basso. Hanno aperto la porta alle configurazioni dell’autoconsumo virtuale, hanno dato nuovi diritti ai cosiddetti Energy Citizens e hanno garantito la loro partecipazione ai mercati dell’energia. Un cambiamento essenziale che, tuttavia, ha richiesto un lungo ed elaborato lavoro per trasferire tali innovazioni nell’ordinamento e nel sistema elettrico nazionale. In aiuto è arrivata fin da subito la Ricerca di Sistema e in particolare l’impegno profuso da RSE per sia contribuire al processo di recepimento delle direttive sopracitate sia per favorire la partecipazione degli utenti finali alle nuove opportunità dell’autoconsumo.

Nell’ambito del Piano Triennale di Ricerca di Sistema 2019-2021 prima e in quello 2022-2024 ora, RSE ha messo sotto la sua lente le Comunità Energetiche rinnovabili (CER) e gli schemi di Autoconsumo Collettivo. Ha analizzato e monitorato alcuni “progetti pilota” in giro per l’Italia quando la normativa italiana era ancora tutta in divenire.

Comunità energetiche: CER BERCHIDDA

Ha mappato i modelli organizzativi nascenti così come i benefici di queste nuove configurazioni a livello energetico, economico ed ambientale. Ha individuato potenzialità ed eventuali barriere, tracciando l’evoluzione e studiando da vicino i meccanismi di supporto attivati da governo e Regioni. Il tutto anche con l’obiettivo di fornire un supporto alle politiche nazionali in tema di transizione. Per capire meglio i risultati raggiunti da RSE e i lavori ancora in corso, abbiamo posto qualche domanda a Matteo Zulianello, Capo Progetto “L’utente al centro della transizione energetica” di RSE.

Nel Piano triennale 2019-21 della Ricerca di Sistema, RSE ha avviato un’azione di promozione e valutazione di alcuni casi studio per le nuove configurazione dell’autoconsumo. Quel primo lavoro a cosa ha portato? 

RSE è impegnata da anni sul tema del coinvolgimento degli utenti finali al percorso di transizione energetica in corso. La prima attività è stata avviata nel 2018, nell’ambito di un contratto della Commissione Europea per supportare l’allora Ministero dello Sviluppo Economico nel recepimento delle parti delle direttive europee relative ad autoconsumo individuale e collettivo (AUC) e alle Comunità dell’Energia.

A partire dal 2019, abbiamo iniziato ad analizzare i vincoli e le opportunità legate alla diffusione di questi modelli di partecipazione. Va ricordato che nel 2019 non esisteva alcuna normativa di riferimento per le CER e gli AUC; quindi, siamo partiti con l’intento di supportare dei progetti pilota sperimentali, che avrebbero lavorato in un regime di sandbox regolatoria (in accordo con ARERA), per comprendere gli elementi cruciali per lo sviluppo di queste iniziative.

Fortunatamente, a partire dal 2020 si è iniziato a parlare di recepimento anticipato della direttiva rinnovabili (EU/2018/2001) e quindi abbiamo potuto da un lato analizzare i casi selezionati nel contesto transitorio, dall’altro abbiamo provato a elaborare qualche ragionamento in ottica di partecipazione delle configurazioni in un regime più ampio. Alla fine del triennio di ricerca 2019-21 siamo quindi arrivati a due risultati principali diretti e uno indiretto.

Il primo risultato diretto è stato quello di analizzare il funzionamento delle CER e degli AUC a livello locale, studiandone il funzionamento dal punto di vista energetico e della valorizzazione del patrimonio territoriale a disposizione. Il secondo ha riguardato la realizzazione di una prima mappatura ragionata delle CER che si sono costituite nel frattempo, indagando i principali modelli organizzativi, i soggetti promotori e le finalità delle sperimentazioni.

Il risultato indiretto, tra il tangibile e l’intangibile, è relativo all’attivazione di un numero molto importante di relazioni con attori chiave di questo processo: imprese, organizzazioni, università ed enti di ricerca, pubbliche amministrazioni, attori del mondo della finanza… attori che nella pratica possono sviluppare o supportare la diffusione di queste pratiche e con i quali è possibile fare ricerca sul campo.

Veniamo al Piano triennale 22-24. Quali sono gli obiettivi e le linee principali del progetto “L’utente al centro della ricerca energetica” per questo triennio?

Rispetto al triennio precedente (2019-21), il progetto è cresciuto considerevolmente sia in termini di prodotti di ricerca che in termini di tematiche. Mettere l’utente al centro della transizione significa individuare gli ambiti di attività, le policy di sostegno, gli impatti delle iniziative più o meno mature che prevedano la partecipazione attiva di tutti. Per questo, il progetto è stato strutturato lungo quattro assi che ogni tanto si toccano, si incrociano, camminano insieme per un po’ per poi divergere e impattare questioni specifiche.

Il primo è quello dell’efficienza energetica nel settore residenziale e terziario, guardando sia le tecnologie a disposizione (in particolare gli impianti) che le politiche di sostegno.

Il secondo riguarda gli impatti elettro energetici delle CACER, con l’obiettivo di definire strumenti e algoritmi per monitorarne il funzionamento, a partire dalla prime CER e schemi di autoconsumo accreditati fino ad arrivare a una valutazione delle stesse sul sistema elettrico nazionale.

Il terzo analizza alcuni elementi abilitanti per le comunità energetiche, come ad esempio le piattaforme tecnologiche per la pianificazione e l’esercizio, le politiche e gli strumenti di supporto a scala sovralocale, con l’obiettivo di valutarne gli impatti sul sistema paese. Se nel triennio 19-21 ci siamo concentrati su impatti energetici e territoriali, in questo secondo triennio di ricerca abbiamo deciso di approfondire anche la valutazione degli impatti sociali delle CER, andando a definire una metrica opportuna. Infine, un tema a cui teniamo molto, è il contributo che le CER possono fornire al contrasto alla Povertà energetica.

Il quarto e ultimo asse è quello della formazione, dell’informazione e del confronto con tutti gli stakeholder coinvolti in questo percorso. Senza questo, l’abilitazione degli utenti finali resta pura utopia.

Come avete affrontato il tema e quali risultati avete ottenuto fino ad oggi?

I risultati, disponibili sul sito RSE per i primi due anni, ci danno evidenza di un mondo in repentina evoluzione, che necessita da un lato di strumenti opportuni per interpretarlo (come per esempio l’aggiornamento del nostro modello di “metabolismo energetico”, che ci aiuta a stimare i consumi e i comportamenti degli utenti finali, oppure gli algoritmi che usiamo per analizzare il funzionamento delle CACER e il loro impatto sulla rete, solo per citarne un paio), dall’altro di un accompagnamento solido e costante per tutti i potenziali attori, offrendo spunti e mettendo in mostra le pratiche di innovazione sociale che si stanno manifestando alle diverse scale d’azione.

Rispetto al triennio precedente, soprattutto per le CACER, ci troviamo in una situazione nuova, con un quadro normativo consolidato che necessita di essere testato. Il nostro ruolo è quello di studiare le pratiche più interessanti, supportare i decisori e coloro che a livello pubblico e privato stanno provando ad accompagnare lo sviluppo di CER a introdurre strumenti che forniscano un reale contributo.

Se dovessimo fare una metafora, per un po’ si è discusso del percorso di gara da seguire, ora lo starter ha dato il via e tutti sono partiti. Noi siamo sulla macchina dei giudici di gara per capire se tutto funziona, se eventualmente si prenderanno delle scorciatoie o se ci troveremo in situazioni inaspettate. Nel frattempo, comunque, continuiamo già a preparare le prossime “gare”, per esempio quella relativa alla partecipazione di questi schemi ai mercati energetici.

Parliamo degli impatti sociali: avete valutato anche questo aspetto? E quanto conta nella buona riuscita di una CER?

Ormai è chiaro che non si può parlare di un unico modello di CER. Per alcune iniziative il tema della produzione di valore economico risulta prevalente e questo è assolutamente lecito. Altre, invece, nascono con l’intento di generare benefici sociali per un target specifico o per la collettività. La questione vera è: questa seconda tipologia di comunità ci interessa per qualche motivo particolare? Se la domanda non assume un’accezione retorica, dobbiamo sostanziare cosa queste comunità generano, in termini di output e di outcome, dobbiamo definire delle metriche opportune che possano misurare e valutare l’impatto sociale. Perché alla fine, se vogliamo una transizione giusta, non possiamo trattare in modo superficiale questo tema.

In questi anni la normativa è cambiata, siamo passati da una sorta di recepimento anticipato della RED II a quello che a tutti gli effetti l’assetto regolatorio finale, con il decreto legislativo 199 dell’8 novembre 2021 e il Decreto CACER che disciplina i nuovi incentivi in materia di autoconsumo. Le novità che sono state introdotte si stanno riflettono anche nei modelli di comunità o nel coinvolgimento dei soggetti promotori?

Se è vero che non siamo più “all’anno zero”, va tuttavia detto che forse siamo “all’anno uno”. Le iniziative avviate nella fase sperimentale si sono strutturate intorno a tre modelli organizzativi prevalenti.

Il primo, che potremmo definire “dal basso”, prevede la partecipazione diretta di attori locali che definiscono le regole di ingaggio, le modalità per realizzare gli investimenti e quelle per ripartire i proventi economici. Sono iniziative che vedono un forte protagonismo degli attori locali, che hanno competenze specifiche che possono mettere a disposizione della CER. Se guardiamo le due Direttive europee di riferimento, probabilmente queste configurazioni sono quelle che rispondono al meglio all’obiettivo di coinvolgere attivamente gli utenti finali.

Un secondo modello prevede che ci sia un attore predominante nella fase di costruzione della progettualità, che definisce le regole e ha capacità di aggregare una comunità intorno alla sua idea di CER: è il caso, per esempio, delle iniziative promosse dai Comuni. L’approccio è di tipo top-down, e può favorire lo sviluppo di iniziative a favore di target specifici, come per esempio le famiglie in povertà energetica.

Un ultimo modello vede la partecipazione di attori esterni al territorio (player industriali, ESCo, università, …) che hanno risorse da mettere a disposizione degli attori locali, per le quali sono pronti a essere remunerati. Quest’ultimo modello permette sicuramente alle CER di partire ma deve affrontare alcuni alert: dal rischio di isomorfismo organizzativo (CER tutte uguali che non valorizzano i contesti), a quello di passività degli utenti coinvolti, fino ad arrivare alla necessità di intermediare gli interessi degli attori esterni e interni alla comunità.

Quello che ci immaginiamo è che questi tre modelli saranno presenti anche in questa nuova fase implementativa e che, almeno all’inizio, il terzo modello sarà quello che troverà maggior successo. È quindi fondamentale che gli attori locali siano pronti a negoziare con i soggetti terzi, affinché le CER che si andranno a costituire generino valore e opportunità per i territori e le comunità.

Il vostro lavoro vi permette di avere uno sguardo unico sul settore. Come si stanno evolvendo le nuove configurazione dell’autoconsumo e le CER in particolare?

Se parliamo di dati ufficiali, occorre chiedere al GSE, che è l’unico soggetto responsabile di tenere traccia di tutte le CER operative, che percepiscono contributi in conto capitale e incentivi sull’energia autoconsumata dai soci (sottesi alla medesima cabina primaria che ospita gli impianti di generazione). Il lavoro che stiamo facendo in RSE prova ad andare in integrazione: nel giro di qualche settimana, andremo infatti a pubblicare una mappa delle CER su scala nazionale in cui, oltre a evidenziare la localizzazione, la numerosità della compagine sociale, il tipo di impianto e la sua potenza, andremo a identificare le diverse fasi in cui possono trovarsi le CER: dall’idea progettuale, fino alla piena operatività.

La nostra idea è quella di mettere a disposizione di tutti informazioni utili a favorire la partecipazione degli utenti finali a queste configurazioni, facilitandone il più possibile la diffusione a larga scala.

A suo giudizio esiste un modello migliore degli altri ai fini della transizione energetica?

Dipende qual è la finalità. Se l’obiettivo è aumentare la potenza degli impianti da fonti rinnovabili, tutti i modelli vanno bene. Se invece vogliamo favorire una transizione che includa il più possibile gli utenti finali, dobbiamo far sì che essi siano pienamente competenti e attivi. Diciamo che non tutti i modelli nascono con questa finalità.

In materia di autoconsumo e comunità energetiche state seguendo anche ricerche internazionali?

Siamo sempre attenti a quello che succede in ambito europeo e non solo, dialogando con gli attori che ai diversi livelli possono favorire una transizione energetica inclusiva. Oltre a partecipare a iniziative e conferenze promosse in ambito accademico, partecipiamo a progetti europei, incontriamo stakeholder come la EIB o la stessa REScoop, la federazione delle cooperative energetiche che si occupano di rinnovabili. Poi, è chiaro che la normativa e la regolazione italiane incidono sul nostro modello di sviluppo delle CER e delle configurazioni di autoconsumo e quindi, per fare una ricerca utile per i nostri committenti e i nostri stakeholder dobbiamo tenere conto di queste condizioni.

Quali ritiene siano temi fondamentali per i futuri percorsi di ricerca?

Occorre superare la logica dell’inseguimento dell’incentivo. L’incentivazione è necessaria per avviare i progetti, almeno in questa prima fase, ma dobbiamo chiederci quali siano gli obiettivi a medio lungo termine che questi progetti vogliono realizzare. In questo modo ci renderemo conto che le CER nascono per diventare un attore a cui tutti possono contribuire e per il quale occorre definire gli ambiti d’azione.

Se saremo in grado di fare questo passo ci renderemo conto che stiamo abilitando le CER a partecipare a diversi mercati dell’energia e che, data la loro capacità di relazionarsi con i propri soci/consumatori, probabilmente si troveranno in una posizione di vantaggio nei confronti degli operatori di mercato tradizionali. Probabilmente, il tema di ricerca più interessante potrebbe essere quello che ci porti a identificare come questi meccanismi possano venire evidenziati affinché diventi pratica diffusa partecipare alle configurazioni CACER.

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