Le sanzioni sulle fossili di Mosca sono parziali (il gas resta fuori), hanno molte scappatoie (le riesportazioni di prodotti raffinati da paesi terzi) e talvolta non vengono applicate (il price cap a 60 $/barile). Mentre diversi paesi UE non hanno spinto sulle politiche energetiche per affrancarsi dalle fossili russe. L’analisi del CREA dopo 2 anni di conflitto
Il 24 febbraio scorso è iniziato il 3° anno di guerra in Ucraina
(Rinnovabili.it) – Nonostante i vari pacchetti di sanzioni a Mosca, dal 24 febbraio 2022 l’Europa ha continuato a comprare combustibili fossili dalla Russia al ritmo di 420 euro per ogni cittadino europeo. Solo nel 2023, un tesoretto da 28,1 miliardi di euro che ha rimpinguato le casse del Cremlino: più o meno un volume di risorse doppio rispetto a quelle che i Ventisette hanno garantito all’Ucraina per sostenere lo sforzo bellico.
Non significa che le sanzioni non funzionino. Quelle esistenti, imposte dall’Unione Europea e dal G7, che riguardano lo stop all’importazione di alcuni combustibili fossili dalla Russia e il tetto massimo al prezzo del petrolio, hanno ridotto le entrate russe provenienti dai combustibili fossili del 12%, circa 3,4 miliardi di euro al mese. Nel 2023 la flessione dell’export di Mosca ha segnato -29%, pari a 104 miliardi di euro. E anche l’import di gas da Mosca, che non è colpito da sanzioni, nel 2023 ha registrato un crollo del 59%.
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Ma UE e G7 potrebbero limitare “molto di più” le entrate di Mosca con “ulteriori sanzioni sul gas via pipeline, sul GNL, sul petrolio e sui prodotti petroliferi raffinati”, sostiene un rapporto del Center for Research on Energy and Clean Air (CREA). Abbinare queste sanzioni aggiuntive con un tetto massimo abbassato a 30 dollari al barile “ridurrebbe i proventi delle esportazioni russe di un ulteriore 32% (6,8 miliardi di euro al mese)”.
La Russia è sì riuscita a tamponare parzialmente l’ammanco di entrate grazie a paesi amici e un’impalcatura di sanzioni non sistematica. Ma resta ben al di sotto dei livelli pre-guerra. Cina e India (e Turchia) hanno permesso a Mosca di vendere volumi elevati di greggio, con Pechino e Nuova Delhi che oggi pesano per l’85% dell’export petrolifero russo. Anche attraverso navi assicurate e talvolta possedute da paesi UE o G7. E l’Europa e i paesi del G7 hanno continuato a comprare, da Cina India e Turchia, prodotti raffinati che derivano dal greggio russo. Nonostante tutto questo, le entrate di Mosca dal greggio sono comunque scese del 27% (circa 35 mld euro) nel 2023.
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“A causa del ritardo delle politiche energetiche governative, i cittadini di Slovacchia (525 euro), Ungheria (440 euro), Belgio (188 euro), Repubblica Ceca (188 euro) e Austria (185 euro) – considerati alleati dell’Ucraina – hanno continuato a contribuire pesantemente al fondo di guerra del Cremlino nel secondo anno dell’invasione”, sottolinea il CREA. “È una prova evidente di come i combustibili fossili dalla Russia continuino non solo a finanziare l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, ma anche a svalutare e rallentare la transizione energetica verde dell’UE”.