(Rinnovabili.it) – Mentre il neo presidente Donald Trump cancella dal sito della Casa Bianca ogni riferimento al riscaldamento globale e alla promozione delle energia rinnovabili, sostenendo di voler “eliminare le politiche inutili e dannose”, la Cina cerca di approfittarne per raccogliere il testimone di Obama e presentarsi come paese leader della lotta al cambiamento climatico. Ma anche se gli annunci di Pechino vanno in una direzione, gli investimenti del gigante asiatico continuano a concentrarsi sul carbone.
Non tanto sul piano interno, dove Pechino appare decisa a dare un giro di vite (anche se i dubbi restano). Nelle ultime settimane è stato annunciato lo stop a oltre 100 centrali a carbone, molte delle quali in costruzione, mentre altre misure più di facciata che altro hanno riguardato l’introduzione di un sistema di tassazione per le aziende più sporche (ma resta il problema dei controlli colabrodo) ed è stata creata una “polizia ambientale” contro smog ed ecoreati (ma non multerà certo i grandi inquinatori). Quando però la Cina guarda verso l’estero, i buoni propositi di abbandonare il carbone cedono di schianto sotto il richiamo dei profitti.
Tramite la Exim Bank – la poderosa longa manus dello Stato negli investimenti esteri – Pechino ha appena avviato l’espansione di una miniera di carbone e la costruzione di una nuova centrale ad essa collegata da 350 MW in Serbia. Ad aggiudicarsi i lavori – per un importo di 715 milioni di dollari – è una compagnia cinese, la China Machinery and Engineering Corp. L’azienda è al lavoro da ieri presso il sito minerario di Drmno, presso Kostolac, il secondo per estensione tra i bacini del paese balcanico. Lì la miniera a cielo aperto sarà allargata di un terzo, fino a portarla a 12 milioni di tonnellate di lignite estratta ogni anno.
D’altronde i Balcani rappresentano per la Cina una regione di ricchi investimenti, tutto a discapito dello stato del clima. La lignite è una risorsa estremamente diffusa nella regione e il suo sfruttamento fa gola alla maggior parte dei paesi perché consente di tenere bassi i prezzi dell’energia. Avendo budget in difficoltà, l’ingresso di capitali esteri dalla Cina è visto come una soluzione ottimale, né la Cina si tira indietro. Lo scorso settembre è entrata in funzione una centrale a carbone in Bosnia, finanziata dalla China Development Bank. Così, mentre organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale e la stessa UE rallentano i flussi di investimenti nelle fossili, Pechino ha buon gioco a subentrare come partner privilegiato: una dinamica che non sembra possa invertirsi molto presto. Sviluppi, questi, che non possono che entrare in conflitto sia con le politiche UE (molti dei paesi balcanici puntano all’adesione all’Unione), sia con gli impegni presi a livello internazionale nel contrasto al riscaldamento globale.