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Carbone, un mercato in crisi ma non troppo

Carbone, un mercato in crisi ma non troppo

 

(Rinnovabili.it) – L’energia dal carbone ha fatto il suo tempo, ma riuscire a lasciare andare questo carburante fossile si sta dimostrando più difficile del previsto. Negli ultimi anni le sue quotazioni del carbone sono scese al minimo storico e a dicembre del 2015 l’Agenzia internazionale per l’energia non faceva mistero di ritenere il settore destinato a una fine prossima. Il fallimento dell’americana Peabody Energy, la più grande ditta carbonifera dell’occidente, ad aprile di quest’anno, ha ulteriormente ribadito quello che gli analisti del comparto ripetono ormai da tempo: il carbone è in crisi.

 

La conferma arriva anche dall’ultimo rapporto della CoalSwarm, istituto di ricerca californiano che ha analizzato i trend di crescita. Lo studio rivela che durante l’anno in corso, lo sviluppo del termoelettrico da carbone si è ridotto del 14 per cento a livello globale. Il rallentamento è stato più pronunciato in Asia orientale, dove la pipeline ha registrato una contrazione del 22 per cento.

 

Non è un mistero che la nuova politica energetica della Cina sia uno dei maggiori responsabili di questo trend al ribasso. Secondo l’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (Ieefa), nel Paese il calo della produzione di carbone sta mostrando un’accelerazione importante nonostante la produzione industriale cinese sia aumentata. Idroelettrico, gas, nucleare, eolico e fotovoltaico stanno rimpiazzando quella che fino a poco tempo era la fonte numero uno del gigante asiatico. Ma la Cina non è da sola in questa dieta energetica: anche le Filippine e l’Indonesia hanno tirato il freno e i pensionamenti delle vecchie centrali termoelettriche sono in aumento in tutto il mondo, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa.

 

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La riduzione mondiale complessiva – spiegano gli autori dello studio – è stata di circa 158 GW, un valore pari all’intera capacità termoelettrica a carbone dell’Unione Europea. Anche così, avverte il rapporto, le quantità di centrali a carbone in fase di progettazione e costruzione sono ancora troppo alte per limitare un innalzamento delle temperature sopra l’1,5 gradi Celsius fissato nell’Accordo di Parigi.

La fine designata per questo combustibile si è peraltro spostata più avanti rispetto quanto preventivato dagli analisti del mercato. E’ la causa è da ricercarsi proprio nella brusca frenata subita contemporaneamente a livello di produzione del carbone. La chiusura di miniere in Indonesia, Stati Uniti e Australia e le restrizioni imposte dalla Cina (ha limitato la produzione del combustibile a 276 giorni all’anno, determinando un calo dell’output del 16%) hanno dato all’industria estrattiva un po’ di respiro, riportando in alto la domanda sia per il carbone termico che per quello metallurgico.

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