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Pazza idea del carbone: comprare like su Facebook

L’industria del carbone fa incetta di pubblico digitale per costruirsi un’immagine di popolarità e influire sulle scelte politiche. Il caso Peabody Energy

Pazza idea del carbone comprare like su Facebook

 

(Rinnovabili.it) – Non sarà popolare tra l’opinione pubblica, eppure su Facebook il carbone va piuttosto forte. Le compagnie impegnate nella produzione di combustibili fossili hanno scoperto che magari i soldi non faranno la felicità, ma di certo aiutano la notorietà. Un boom di “mi piace”, infatti, è piovuto sull’industria del carbone da quando i grandi social media hanno scelto il sistema pay-per-care, dando il via a un sistema in cui chi ha le tasche più gonfie può garantire maggior visibilità ai propri contenuti. Così anche i grandi inquinatori, spesso molto benestanti a causa dei corposissimi sussidi che ricevono dal G20, hanno potuto comprare pacchetti di “likes” e “followers” in modo da apparire pubblicamente come realtà molto popolari presso il pubblico. Le loro campagne sembrano partecipate e sostenute da centinaia di migliaia di persone. Nell’era dei social network, le scelte politiche dipendono anche da quanti amici hai su Facebook, da quante persone ti seguono e ti apprezzano. Ecco perché, costruirsi un consenso digitale a suon di dollari può fare la differenza in un periodo in cui, nella realtà dei fatti, la dirty energy non gode di grandi simpatie.

 

Basta guardare il gigante del carbone Peabody Energy, che ha recentemente lanciato la sua campagna Advanced Energy For Life. Basandosi sui “mi piace” comprati su Facebook ha potuto dichiarare: «Circa mezzo milione di cittadini da 48 Paesi ha chiesto ai membri del G20 di porre grande attenzione nelle proposte per mitigare la politica energetica». Invece di “energy policy” (politica energetica), sembra più ragionevole pensare che Peabody intendesse scrivere “energy poverty” (povertà energetica). Infatti la retorica comune dell’industria fossile calca la mano sulla necessità immediata dei combustibili tradizionali nella riduzione della povertà energetica in quei Paesi in cui l’accesso all’elettricità non è garantito per centinaia di milioni di persone. Un tentativo di rendersi indispensabili nel mercato, facendo anche la bella figura di aziende etiche e preoccupate delle condizioni nel terzo mondo.