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Biometano sostenibile, la partecipazione dei territori è essenziale

Per trasformare le potenzialità del metano “bio” in una concreta opportunità di sviluppo serve una buona pianificazione degli impianti e il coinvolgimento dei cittadini. Le proposte di Legambiente

biometano sostenibile
Credit: Vasyatka1 (CC BY-SA 4.0)

In Italia il biometano sostenibile potrebbe coprire il 10% dei consumi di gas entro il 2030

(Rinnovabili.it) – Far conoscere il biometano sostenibile e “fatto bene” con campagne informative capillari e l’attivazione di processi di partecipazione territoriale. Questo secondo Legambiente è una delle principali leve per far crescere in maniera sana e progressiva il comparto del metano “bio”.

L’associazione ambientalista ha organizzato ieri a Bologna un incontro dedicato a tecnologie, gestione e usi finali del carburante con l’obiettivo di creare un momento di confronto tra filiera, istituzioni e stakeholder e presentare la propria ricetta alla sostenibilità.

 

Quando si parla di sviluppo del gas verde, l’Italia può vantare già ottimi risultati: il Paese è attualmente il secondo produttore europeo di biogas (e il 4° al mondo), grazie a 1600 impianti attivi a livello nazionale. Questo, unitamente alla nuova spinta allo sviluppo fornita dagli incentivi, potrebbe far crescere rapidamente il giovane settore del metano verde, arrivando a coprire in una decina di anni il 10% dei consumi di gas o due terzi della potenzialità di stoccaggio della rete italiana. Come spiega il direttore generale di Legambiente Giorgio Zampetti, il potenziale produttivo nazionale è “stimato al 2030 in 10 miliardi di metri cubi, di cui almeno otto da matrici agricole”.

 

I primi impianti sul territorio sono già attivi e connessi alla rete. E le migliori realtà sono alimentate direttamente dai rifiuti urbani (leggi anche Impianti di biometano in Italia: 8 centrali alimentate a rifiuti)Tuttavia per mettere a regime una diffusa filiera del metano sostenibile è necessario sciogliere alcuni nodi. A cominciare da una corretta informazione su questo tipo di centrali. Sono infatti diverse le situazioni in cui enti, cittadini e organizzazioni del territorio manifestano paure e denunciano criticità rispetto ai progetti presentati. Il problema? La mancanza di “linee guida per uno sviluppo di impianti non solo sostenibili ma anche integrati nei territori, che troppo spesso non vengono presi in considerazione nell’iter autorizzativo”, spiega Legambiente.

 

In questo contesto l’associazione sottolinea la necessità di una pianificazione territoriale basata su un censimento della materia organica disponibile per comprendere meglio la tipologia di prodotto da valorizzare, e su un puntuale studio del numero e delle dimensioni degli impianti che coinvolga mondo agricolo e i responsabili della gestione dei rifiuti. Impensabile, infatti, che gli impianti a biometano da rifiuti non vengano integrati all’interno di un Piano Regionale dei Rifiuti, – scrive il cigno verde in una nota stampa –  anche per mettere al riparo da situazioni in cui non si hanno o non si possono avere garanzie sulla disponibilità locale di materiale organico, parametro che incide molto sul livello di sostenibile degli impianti a bioenergie”.

 

Alla pianificazione territoriale e al coinvolgimento dei cittadini va aggiunta una valutazione delle tecnologie utilizzate (che non sono tutte uguali sotto il profilo delle emissioni climalteranti), dei consumi e delle emissioni di gas serra per evitare che i benefici siano marginali. Altro punto chiave sottolineato dall’associazione è la necessità che il governo indichi obiettivi chiari sul biometano sostenibile. Ad oggi la bozza del Piano integrato energia clima riporta solo che 1l 75% dell’obiettivo 2030 di energia verde sui trasporti sarà coperto da biometano avanzato.

 

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