Rinnovabili

Un tesoro di scarto

Due anni fa, l’allora Presidente dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas, Alessandro Ortis, durante una audizione presso la Commissione Agricoltura della Camera evidenziò il ruolo centrale delle biomasse al fine di raggiungere gli obiettivi del nostro paese per la cosiddetta strategia 20.20.20. Secondo lo scenario delineato dal Piano d’Azione Nazionale delle Rinnovabili, allora in discussione, l’impiego delle biomasse per la generazione di energia doveva crescere significativamente riuscendo a tradurre  una fetta significativa  di quello che è il potenziale teorico delle biomasse in energia prodotta.

Tra pochi giorni sarà emanato il  nuovo DM di incentivazione delle FER elettriche non fotovoltaiche e potremo verificare se e come gli auspici si saranno tradotti in realtà e potranno così esprimersi pienamente le potenzialità offerte dalle bioenergie, tra cui, la capacità di generare energia termica ed elettrica in modo non intermittente, e la promozione di circuiti virtuosi locali con benefici sia ambientali che economici e sociali.

Le biomasse hanno una “complessità” intrinseca che non sempre è pienamente compresa, e richiedono, più delle altre fonti rinnovabili, un’attenta valutazione, programmazione e progettazione per la realizzazione di soluzioni valide che massimizzino i benefici attesi.

In primo luogo, occorre quindi partire dalla comprensione delle due principali tipologie di biomasse: residuali e prodotte. Le prime sono tutte quelle biomasse che residuano da processi produttivi agricoli, forestali o agroindustriali, le seconde invece sono coltivate appositamente per scopo energetico.

L’aspetto dell’origine può sembrare a prima vista un elemento poco rilevante per l’uso finale delle biomasse ma assume invece una importanza strategica per quanto riguarda i loro costi economici, la logistica e, infine, per la valutazione complessiva dei benefici effettivi dei cicli di produzione energetica.

Nel contesto italiano le biomasse residuali assumono, ad esempio, un ruolo molto importante: diverse analisi e studi realizzati per valutare il potenziale di biomasse nel nostro paese hanno fatto emergere “numeri interessanti”, pari a diversi milioni di tonnellate disponibili. All’inizio degli anni 90 fu realizzato il primo studio completo del potenziale di biomasse ad uso energetico a cura dell’AIGR e dell’ENEA incentrato su tre tipologie di biomasse dal settore agricolo, forestale e agroindustriale, idonee alla combustione.

Da quell’analisi, focalizzata sulle biomasse lignocellulosiche per la generazione elettrica fu prodotto un quadro nazionale, con dettaglio provinciale, della disponibilità complessiva di ben 17 milioni di tonnellate di sostanza secca. Quello studio organico, trasparente ed approfondito è ancora oggi un valido riferimento metodologico ed ha costituito la base per molti  piani energetici ed ambientali regionali ed analisi territoriali a diverse scale.

Nel tempo sono stati realizzati  altri studi nazionali, regionali, locali aggiornati ad anni più recenti ed estesi anche ad altre biomasse con dati altrettanto rilevanti ma eterogenei per qualità e dettagli. I “numeri” però rischiano di essere fuorvianti se non se ne spiega bene la genesi ed il significato e non si riflette sul termine stesso di“potenziale”. Questo termine infatti si riferisce ad una possibilità, cioè ad una quantità di biomasse che esiste oggi (in quanto gli studi si basano tutti sui dati storici dell’agricoltura e delle foreste e ne calcolano i residui che si presume nel tempo saranno più o meno invariati) e che a determinate condizioni sono utilizzabili per produrre energia. Il problema però è che il potenziale va anche definito o almeno aggettivato. Nel campo specifico delle biomasse residuali ad esempio, alcuni autori hanno definito il potenziale “teorico” o “fisico” o “lordo” come l’insieme, (calcolabile), di tutti residui prodotti in ambito agricolo e forestale.

 

Schema di decrescita del potenziale delle biomasse residuali dal “lordo” al “netto”

Tanto per dare un’idea: si può calcolare tutta la paglia prodotta dalla coltivazione dei cereali in un determinato anno ed area, conoscendo le superfici destinate a cereali, la produttività delle stesse e le tecniche di raccolta. Ma una volta definito questo potenziale “teorico” la strada è ancora lunga perché risulta evidente che non tutti i residui potranno avere un impiego energetico. Alcuni, come ad esempio le paglie, sono reimpiegati nel ciclo produttivo aziendale per la lettiera per gli animali, altri trovano un mercato redditizio in altri settori.  In sintesi solo una parte del potenziale teorico calcolato è disponibile per usi energetici perché una frazione consistente dei residui è già utilizzata. Si definisce allora  un secondo tipo di potenziale “disponibile”, cioè l’insieme delle biomasse che rimangono presso le aziende e  non hanno usi alternativi remunerativi e/o migliori.

Il passaggio di calcolo dal potenziale teorico al “disponibile” richiede la conoscenza di molte informazioni sugli usi alternativi che variano sia nel tempo che nelle diverse zone d’Italia. Dopo aver effettuato pazientemente questo calcolo si può scoprire con sorpresa che le biomasse disponibili solo sono una frazione limitata di quelle teoriche.

Per arrivare infine ad una valutazione reale delle biomasse effettivamente utilizzabili (potenziale netto) dobbiamo comprendere tutti i possibili aspetti tecnici ed economici che sono di ostacolo alla loro effettiva disponibilità energetica, come ad esempio, l’eccessiva distanza tra la zona di “approvvigionamento” rispetto al luogo di “impiego”, l’elevata acclività di un terreno, una raccolta non meccanizzabile, etc.. Saranno dunque questi, alcuni dei fattori da comprendere per calcolare quella frazione “finale” del potenziale disponibile che è tecnicamente ed economicamente utilizzabile.

In conclusione, le biomasse residuali rappresentano un’importante opportunità per il nostro Paese e richiederanno certamente il continuo supporto di strategie mirate alla loro valorizzazione ma, al tempo stesso, occorrerà valutare necessariamente anche un’alternativa orientata verso la maggiore produzione di biomasse “specifiche”, anche per fare fronte gli ambiziosi obiettivi che l’Italia e l’Europa si sono imposti.

 

di Nicola Colonna, Centro Ricerche Casaccia, ENEA – Unità UTAGRI

 

 

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