Rinnovabili: parola magica che sta ad indicare un gran fermento di attività dirette a produrre energia sotto forma di calore o elettricità dalle inesauribili forze del Sole
Troppo poco si discute del fatto che una parte dell’energia fossile non rinnovabile, da carbone, petrolio e gas naturale, cioè di quell’energia dalla cui schiavitù vogliamo liberarci — finisce nelle merci, negli oggetti di uso quotidiano.
Molti di questi sono stati ottenuti per millenni dai vegetali o dagli animali, risorse rinnovabili, fino a quando i chimici, dall’Ottocento in avanti, hanno scoperto che coloranti, fibre tessili, detersivi, cosmetici, prodotti chimici, fino allora ottenuti dalla Natura, potevano essere ottenuti “utilmente”, dal punto di vista del profitto, non della qualità, da carbone e petrolio.Gli innumerevoli esseri viventi vegetali ed animali ”fabbricano” sostanze chimiche con processi simili a quelli che si svolgono nelle fabbriche delle sintesi chimiche. La principale differenza fra fabbriche naturali e fabbriche umane sta nel fatto che nelle prime la natura manifesta una sfrenata fantasia. Le fabbriche umane invece producono un numero molto limitato di sostanze e spesso nei loro processi si formano scorie e sottoprodotti sgradevoli, fonti di quelli che chiamiamo inquinamenti. Mentre l’uso di materie prime fossili inevitabilmente è accompagnato dalla immissione nell’atmosfera di anidride carbonica e di gas che alterano il clima, le merci verdi sono prodotte con processi che “tolgono” dall’atmosfera una frazione di “gas serra” (soprattutto anidride carbonica) e alleviano i mutamenti climatici.
Dopo che per due interi secoli l’industria ha cercato di copiare la natura e di produrre per sintesi, partendo da poche molecole derivate prima dal carbone e poi dal petrolio, le sostanze naturali, o loro surrogati, a causa della scarsità delle fonti fossili e del relativo inquinamento siamo arrivati oggi alla necessità di tornare a guardare alla Natura come fonte di materie prime industriali e di merci.Prendiamo i trasporti terrestri ed aerei che assorbono nel mondo ogni anno circa tre miliardi di tonnellate di benzina o gasolio; eppure fin dall’alba dell’industria automobilistica è stato proposto come carburante l’alcol etilico ottenuto per fermentazione dal glucosio ricavato da molte materie, sottoprodotti e scarti agricoli e forestali. Altri carburanti per motori diesel possono essere ottenuti dai grassi vegetali, ma anche animali, spesso residui di altre lavorazioni.
Molti materiali vegetali si prestano a produrre pellicole o oggetti in grado di sostituire quelli ottenuti delle materie plastiche derivate dal petrolio. Qualcosa viene fatto alla ricerca di sacchetti e imballaggi biodegradabili partendo da un limitato numero di amidi, le macromolecole che si formano, in seguito alla fotosintesi, nei semi o tuberi, ma innumerevoli piante che crescono nei climi tropicali o aridi, contengono amidi le cui caratteristiche ancora nessuno ha studiato a fini industriali. Sorgeranno un giorno fabbriche di plastica biodegradabile che usano l’amido di piante messicane o cinesi ?
La più versatile materia prima verde — e quella che finora ha avuto più successo — è la cellulosa, altra macromolecola costituita da migliaia di molecole di glucosio unite fra loro in forma di lunghe “catene”; da tempo immemorabile è stato scoperto che i fili, più o meno lunghi, ricchi di cellulosa, presenti nei vegetali potevano essere usati come fibre tessili. Il cotone è costituito da cellulosa molto pura e occupa una posizione preminente nel commercio mondiale delle fibre e dei tessuti; il lino e la canapa sono state usate come fibre tessili per secoli, poi hanno subito un declino davanti alla concorrenza delle fibre tessili sintetiche (nailon, poliestere, eccetera) che costano di meno, ma hanno anche proprietà tecniche più scomode di quelle delle fibre cellulosiche.
Lino e canapa stanno vivendo una lenta resurrezione nel mondo, in Europa e anche in Italia. In natura esistono numerosi materiali vegetali contenenti differenti tipi di cellulosa, pochissimi dei quali sono stati studiati a fondo, benché siano usati empiricamente per la produzione di tessuti, cappelli, eccetera, in molti paesi del Sud del mondo. Proprio dalla loro esperienza pratica dovremmo imparare, noi dei paesi industriali, non solo come ricavare merci migliori delle attuali, ma anche come aiutare molti paesi a industrializzarsi proprio partendo dalle ricchezze naturali locali.
Nonostante i progressi dell’industria dei farmaci di sintesi, alcuni prodotti di grande successo sono ancora ottenuti copiando sostanze naturali e di certo i milioni di specie vegetali nascondono, al proprio interno, senza che noi si sappia niente, sostanze che potrebbero salvare.la vita, migliorare le condizioni di salute di milioni di persone.
Il chimico americano Carl Djerassi ha realizzato la propria fortuna scientifica, universitaria e finanziaria scoprendo fra strane piante messicane una sostanza che si prestava come contraccettivo umano e che è stata alla base della “pillola” femminile. Quasi una forma di risarcimento al popolo messicano per le ricchezze naturali che la sua terra aveva assicurato agli scopritori stranieri, ha creato nel Messico una industria chimica e farmaceutica che si è collocata fra le grandissime nel mondo. La storia è raccontata nel libro dello stesso Djerassi, “La pillola”. Un altro interessante libro, “Autarchia verde”, di Marino Ruzzenenti, contiene una rassegna delle innovazioni merceologiche, basate su materie rinnovabili, che si sono avute nei periodi “delle autarchie” nei vari paesi, dall’India di Gandhi, che sull’uso dell’indaco locale ha basato la protesta contro l’indaco sintetico ottenuto dal carbone in Inghilterra, avviando il processo di indipendenza, all’Unione Sovietica, agli Stati Uniti nel periodo di Roosevelt, e a tutti i paesi coinvolti nella prima e nella seconda guerra mondiale.
Sono così state coltivate piante capaci di fornire gomma in climi temperati, in mancanza dei rifornimenti della gomma dal Brasile o dalla Malesia, sono state messi a punto processi per ottenere carburanti per autotrazione dalla biomassa, come l’alcol etilico già ricordato, ma anche processi di gassificazione del legno per ricavarne materie prime per sintesi organiche in alternativa a quelle ottenute dal carbone o dal petrolio.
Finora si è parlato di materie rinnovabili di origine vegetale, ma moltissime altre possono essere offerte dal regno animale. La seta è una delle fibre tessili di origine animale, di natura proteica, ma certo molti altri insetti “fabbricano” filamenti proteici che si presterebbero ad applicazioni industriali e cominciano ad essere oggetto di studio di speciali discipline.
Nonostante il grandissimo numero di proteine esistenti in natura soltanto pochissime hanno ricevuto attenzione, al di fuori degli usi alimentari e di quelli dell’industria conciaria e tessile (seta, lana). Poche sostanze proteiche (quelle della caseina, della zeina, dell’arachide) sono state utilizzate per la produzione di fibre artificiali, oggi abbandonate.
Ogni anno milioni di tonnellate di proteine derivate dalle industrie di trattamento dei prodotti agricoli, dal siero di latte, ai residui dell’estrazione dei grassi, agli scarti della macellazione e delle operazioni conciarie, eccetera, vengono destinate ad usi poveri, come l’alimentazione del bestiame, o la concimazione dei terreni, quando addirittura non sono buttate vie costituendo fonti di inquinamento. Molte di queste proteine di origine animale sono ricche di amminoacidi essenziali e potrebbero essere utilizzate per l’integrazione degli alimenti poveri, come quelli che stanno alla base della nutrizione di molti paesi del Sud del mondo. E pensare che, invece di utilizzare e nobilitare le proteine naturali di scarto, c’è stato un tempo in cui è stato proposto di ottenere proteine dal gasolio di origine petrolifera, proposta poi miseramente fallita.
La monocoltura del petrolio ha finito per soffocare il perfezionamento di processi di utilizzazione industriale della biomassa e adesso si fa fatica a risalire la china, anche se fortunatamente si stanno moltiplicando i centri di ricerca nel mondo, spesso nei paesi in via di rapido sviluppo, e compaiono libri e riviste specializzate sulle materie industriali e sulle merci tratte dalla Natura. Tutto il potere alle materie rinnovabili e non inquinanti derivate dal Sole.