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Impianti a biomassa: le Regioni non possono fissare distanze minime

La Corte costituzionale dichiara illegittima la legge veneta del 2016 in cui si disciplinavo vincoli alla localizzazione di impianti a biomassa e biogas rispetto all’abitato

Impianti a Biomassa

 

Guerra di competenze sugli impianti a biomassa e biogas

(Rinnovabili.it) – Tra Governo e Regioni lo scontro in materie di competenze energetiche non trova fine. Ma un punto alle tante questioni ancora aperte sul territorio, lo ha posto in questi giorni la Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi su una norma veneta del 2016. Il provvedimento in questione è il Collegato alla legge di stabilità regionale 2017 (legge reg. n.30 del 30 dicembre 2016), in cui si introducono diverse disposizioni legislative in materia di governo del territorio. Tra i vari articoli, uno in particolare ha stabilito le distanze minime da rispettare nel caso di impianti a biomassa, a biogas e gas di discarica e di processi di depurazione rispetto alle residenze civili sparse e concentrate. Una libertà di scelta poco apprezzata dal Governo che è ricorso ai giudici della Consulta sulla questione di legittimità costituzionale dell’art.111 del provvedimento.

 

La norma in questione stabiliva, fra le altre cose, che tutti i manufatti che costituiscono impianti per la produzione di energia da biogas e da biomasse quali digestore, vasca di caricamento delle biomasse, vasca di stoccaggio dell’effluente/concimaia, impianti di combustione o gassificazione della biomassa per la cogenerazione di energia elettrica e calore, fossero collocati a una distanza pari di 150 m dalle residenze civili sparse e 300 m dai centri abitati in caso di una potenza superiore ai 1000 kWe e di 300 m dalle residenze civili sparse e 500 m dai centri abitati per installazioni con potenze superiori ai 3000 kWe.  La legge limitava inoltre le autorizzazioni ai soli impianti a biomassa e biogas conformi al Piano energetico regionale.

 

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Due punti, tuttavia, dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale. I giudici hanno ricordato che ai sensi della disciplina nazionale in materia di rinnovabili (l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, e Linee guida 10 settembre 2010), alle Regioni spetta solo il compito di indicare le aree non idonee agli impianti.Non possono invece – si legge nella sentenza – stabilire limiti generali, valevoli sull’intero territorio regionale − nella specie, distanze minimi da rispettare per la localizzazione − perché ciò contrasterebbe con il principio di derivazione comunitaria di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili. La normativa statale richiede una valutazione procedimentale, che non può essere effettuata a priori”.

 

Nello stesso modo la Consulta ha ricordato che Linee guida sanciscono chiaramente che “il superamento di eventuali limitazioni di tipo programmatico contenute nel Piano energetico regionale (PER), o delle quote minime di incremento dell’energia elettrica da fonti rinnovabili, non preclude l’avvio e la conclusione favorevole del procedimento autorizzatorio”.