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Idrogeno sostenibile, l’Università di Trieste accetta la scommessa

Idrogeno sostenibile, l’Università di Trieste accetta la scommessa

 

(Rinnovabili.it) – Produrre idrogeno in maniera economica e sostenibile per qualcuno sembra ancora solo un miraggio, ma per ingegneri chimici come Christopher Murray della University of Pennsylvania e Matteo Cargnello della Stanford University, si tratta solo di trovare “la giusta lunghezza”. Lavorando insieme nel campo della fotocatalisi, sono riusciti a mettere a punto un processo capace di accelerare la produzione di idrogeno da biomassa.

 

Il lavoro – pubblicato Proceedings of the National Academy of Sciences – ha richiesto una collaborazione di cinque anni la Drexel University, l’Università di Trieste, l’Università di Cadice in Spagna e l’Istituto Leibniz in Germania. Insieme i ricercatori hanno scoperto che allungando dei nanotubi in biossido di titanio (o Titania) si aumenta anche la capacità di questo materiale di velocizzare la reazione di scissione delle molecole d’acqua.

 

Le ultime ricerche di settore hanno dimostrato infatti ormai da tempo che catalizzatori prodotti col biossido di titanio permettono l’estrazione dell’idrogeno da una soluzione acquosa, se sottoposta a luce solare. «L’idea di base è riuscire a produrre idrogeno da nulla più che la luce del sole, un catalizzatore e dei composti che si possono ottenere dalle biomasse. In questo modo non lo dovremmo produrre da combustibili fossili, il cui sfruttamento ha un notevole impatto sul riscaldamento globale.» – così ci spiega il prof. Paolo Fornasiero dell’Università di Trieste, che ha coordinato la ricerca assieme al collega americano Christopher B. Murray della UPenn. «Se potessimo ottenere l’idrogeno in modo davvero rinnovabile e sostenibile, allora entreremmo in una nuova era energetica.»

 

Il biossido di titanio assorbe la luce solare, dando il via ad una reazione chimica che genera idrogeno. Ma i portatori di carica responsabili di questa risposta, elettroni e lacune, tendono ad attrarsi e reagire velocemente gli uni con gli altri anziché prendere parte alla reazione di ossido-riduzione dell’acqua.

Il team è intervenuto sulla tempistica, ovvero ha fatto sì che non fosse così facile per i portatori di ricarica ricombinarsi immediatamente. Come? Aumentando la lunghezza dei nanotubi da 15 a 50 nanometri e arrivando così a stabilire che i bastoncini più lunghi erano quelli più attivi. Gli scienziati sono infatti riusciti a forzare elettroni e buche a reagire con l’acqua anziché con sé stessi.

 

«Potremmo essere di fronte a un principio generale, molto utile per sviluppare catalizzatori più efficienti. Queste strutture allungate permettono agli elettroni di fuggire dalle buche come fossero su un lungo rettilineo, così da reagire più velocemente con altre molecole» afferma il Professor Fornasiero.

«Il biossido di titanio – prosegue il dr. Tiziano Montini dell’Università di Trieste – è inoltre utilizzato comunemente in molte applicazioni quotidiane, dalle creme solari ai materiali autopulenti, come quelli utilizzati nelle comuni righe bianche delle nostre strade. La possibilità di modulare l’interazione della luce con questi materiali può offrire grandi opportunità anche in altri campi applicativi.»

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