Con la strategia Ue 20-20-20, occorrerà misurare sempre più accuratamente il contributo effettivo delle biomasse agricole alla riduzione della CO2, dalla fase di produzione, fino a quella di raccolta e trasporto
La produzione di energia da biomasse, (sia solide che liquide o gassose), deve assicurare un contributo effettivo agli obiettivi di diminuzione delle emissioni di gas ad effetto serra così come previsto dal protocollo di Kyoto e dalla successiva strategia europea “20-20-20”.
La diffusione delle tecnologie rinnovabili e la relativa produzione di energia “verde” rientra infatti tra gli strumenti di mitigazione dei cambiamenti climatici, cioè di quell’insieme di azioni tese a diminuire le emissioni di CO2 da fonte fossile o attraverso la sua sostituzione con carbonio di origine fotosintetica oppure con la produzione di energia ad emissioni zero, (o quasi).
Ogni tecnologia ha un suo specifico “costo” ambientale che nel caso dell’eolico, del fotovoltaico o dell’ idroelettrico è per la gran parte circoscritto alla fase di costruzione ed installazione dell’impianto, mentre nel caso delle biomasse, si concentra nella fase di esercizio soprattutto in relazione alla necessità di produrre, raccogliere, condizionare e trasportare le biomasse stesse.
Il dibattito circa l’effettiva sostenibilità dell’impiego delle biomasse, cominciato con la prima impennata dei prezzi dei generi alimentari nel 2007, ha condotto alla definizione dei criteri di sostenibilità per i biocombustibili liquidi contenuti nella Direttiva Europea (2009/28/CE), recentemente recepita dalla legislazione nazionale (D.Lgs. del 3 marzo 2011 n. 28).
I criteri introdotti nella Direttiva si configurano come un tentativo di sopperire alle distorsioni sui mercati internazionali delle commodities agricole, causate dai sistemi di incentivazione legati alla produzione energetica da biomasse o all’obbligo di miscelazione nei carburanti secondo i parametri dell’Europa e di molti altri Paesi.
L’attenzione si è naturalmente concentrata sul bilancio delle emissioni di gas ad effetto serra, al fine di ovviare al diffondersi di sistemi di approvvigionamento poco efficienti e molto dispendiosi in termini di emissioni di gas ad effetto serra. Una visione della sostenibilità delle biomasse agricole limitata solo alla “spesa carbonica” (cioè all’insieme delle emissioni di CO2equiv, associate alla fasi di produzione trasporto e trasformazione delle biomasse) appare però, a detta di molti osservatori, miope e poco lungimirante se non accompagnata anche da un’attenta considerazione dei temi sociali, economici ed ambientali (tra cui i consumi idrici, la qualità delle acque, la perdita di biodiversità etc) che spesso entrano in gioco quando si tratta di utilizzare le terre per usi diversi da quelli legati alla produzione alimentare e che purtroppo, il più delle volte, vengono inevitabilmente trascurati.
I criteri, già operativi, sono comunque un importante strumento per indirizzare lo sviluppo delle filiere di produzione e trasformazione delle biomasse nella direzione che assicuri il miglior rapporto tra i costi ed i benefici.
Criteri di sostenibilità
La Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso delle fonti rinnovabili introduce, solo per i biocarburanti ed i bioliquidi dei criteri il cui rispetto è prerequisito affinché l’energia prodotta sia considerata negli obiettivi nazionali di penetrazione dei biocarburanti e degli obblighi di produzione di energia rinnovabile.
I criteri sono:
- una riduzione pari ad almeno il 35% delle emissioni di gas ad effetto serra (50% a partire dal 2017)
- le materie prime non siano prodotte a partire da terreni in aree ad elevata biodiversità o in aree naturali protette,
- le materie prime non siano prodotte in aree con elevato stock di carbonio ed il carbonio immesso in atmosfera per la trasformazione d’uso dei terreni deve essere conteggiato nel bilancio emissivo,
- le materie prime non siano prodotte in aree che prima erano torbiere,
- le materie prime siano ottenute conformemente ai criteri di eco condizionalità previsti dai regimi di sostegno comunitario agli agricoltori.
Ma sicuramente è necessario immaginare, in futuro, una valutazione più ampia, accurata e condivisa, del reale impatto delle filiere agroenergetiche
Misurare la sostenibilità delle agroenergie è quindi un esercizio necessario che deve essere condotto secondo delle regole precise e condivise altrimenti, data la pluralità dei sistemi produttivi delle biomasse e dei diversi contesti pedoclimatici in cui esse sono prodotte, rischierebbe di portare verso dei risultati troppo eterogenei e non comparabili. A questo proposito si è affermata, nel campo tecnico scientifico, la metodologia di calcolo LCA (analisi del ciclo di vita), che consente di ottenere una quantificazione degli impatti associati ad un processo produttivo ma richiede una grande mole di dati e la disponibilità di banche dati ambientali validate ed aggiornate a cui attingere i necessari elementi di calcolo. Per ovviare a ciò l’Unione Europea ha sviluppato un sistema computativo di riferimento, (allegato alla direttiva sui bioliquidi), che indica quali sono gli elementi di cui tener conto e la procedura da seguire al fine di valutare i risparmi di CO2 conseguibili per le diverse filiere delle biomasse. Oltre a questo modello di calcolo, sono stati inoltre prodotti dei valori standard riferiti ad una serie di filiere produttive (Etanolo da mais, Etanolo da canna da zucchero, Biogas da letame etc) che mettono subito in evidenza l’estrema variabilità delle diverse filiere agro energetiche dal punto di vista della “produzione sostenibile”.
TABELLA CON I VALORI DI RIFERIMENTO PER DIVERSE FILIERE BIOMASSE
Osservando i valori in tabella si evince come alcune filiere siano più efficienti nel ridurre la CO2 emessa, e proprio alcune di queste, attualmente, stanno avendo una forte espansione nel nostro paese.
A livello europeo il dibattito continua e già si lavora alla realizzazione di criteri di sostenibilità per le biomasse solide, ad ulteriore conferma che lo sviluppo delle biomasse, attraverso specifici sistemi di incentivazione, deve necessariamente avvenire in un contesto di sostenibilità ampia e condivisa.
di Nicola Colonna, Centro Ricerche Casaccia, ENEA, Roma – Unità UTAGRI