(Rinnovabili.it) – Sono risorse a km0, rinnovabili, programmabili ed economiche. Ma soprattutto sono uno dei vessilli della bioeconomia circolare, quel modello di sviluppo che oggi si contrappone alla tradizionale “economia estrattivista”. Parliamo delle biomasse, una delle fonti energetiche dalle maggiori potenzialità in Italia e, per molti versi, anche la meno valorizzata.
Nell’immaginario comune questa parola riconduce subito ad alberi tagliati e stufe a legna, ma in realtà l’insieme “biomassa” contiene molto altro. Il termine indica, infatti, tutta la materia organica generata da piante e animali. Questo può includere, ad esempio, le colture algali da cui si ricava il biodiesel o le deiezioni animali da cui si produce il biogas.
E anche quando il campo è limitato a quello delle biomasse solide non si fa riferimento solo al legno vergine, ma anche ai rifiuti forestali, ai residui agricoli, agli scarti industriali e alla frazione umida urbana. Grazie a questi flussi oggi l’Italia produce circa 4 TWh di elettricità e 86 TWh di energia termica l’anno (stime RSE). Un contributo limitato ma potenzialmente rilevante ai fini della transizione energetica e degli obiettivi UE 2030, oltre che dal punto di vista della valorizzazione e della tutela del patrimonio boschivo.
La filiera nazionale delle bioenergie e delle biomasse legnose in particolare ha creato sul territorio un circolo virtuoso, promuovendo lo sviluppo territoriale nelle aree cosiddette “interne e marginali”. Ed è divenuta un comparto chiave dell’economia circolare, in grado di valorizzare residui e sottoprodotti a livello locale.
Ma come ricordato in questi giorni da Elettricità Futura – la principale associazione del mondo elettrico italiano – e dalle altre realtà di settore, dietro a benefici e potenzialità inespresse, c’è anche una profonda sofferenza della filiera, il cui destino si gioca ora in poche mosse. Il problema? Obiettivi a lungo termine poco lungimiranti e incertezze normative, che rischiano di minare una parte importante del percorso di transizione energetica.
Le potenzialità delle biomasse italiane
Il Belpaese vanta un pessimo primato: il più elevato grado (circa il 78%) di dipendenza energetica dall’estero tra le maggiori economie europee. In questo contesto, la transizione energetica a cui tutti gli Stati UE sono chiamati, offre un’importante opportunità per valorizzare le risorse rinnovabili nazionali e rendersi indipendenti in maniera sostenibile.
Come possono contribuire le biomasse? Secondo gli esperti, se ci limitassimo semplicemente a raggiungere i livelli medi europei di utilizzo delle biomasse legnose e sfruttassimo al meglio gli impianti cogenerativi, potremmo aumentare la produzione annuale di 7,5 TWh elettrici e 30 TWh termici. Il tutto garantendo un apporto costante, programmabile e flessibile. Non solo. Da un punto di vista industriale, le bioenergie hanno un forte legame con il territorio nazionale, dove generano importanti ricadute a livello di occupazione e reddito.
Ma qualsiasi aumento della produzione energetica da biomasse fa puntare i riflettori su due aspetti: dato emissivo e tutela del patrimonio boschivo. Per il primo punto, la questione non riguarda tanto la CO2 quanto gli inquinanti locali. Valutando l’intero ciclo di vita, si scopre infatti che la CO2 emessa è di appena qualche decina di grammi per kWh (dati della Direttiva comunitaria “RED II”): valore paragonabile a quello delle altre rinnovabili.Discorso differente per le particelle inquinati il cui vero rischio, tuttavia, è collegato ai vecchi apparecchi domestici e non agli impianti su scala utility. Per le centrali a biomassa di grande taglia sono, infatti, obbligatorie tecnologie di filtraggio per polveri sottili, adattabili anche per gli ossidi di azoto.
E gli alberi? A tutelare il patrimonio verde nazionale è nella maggior parte dei casi la stessa filiera bosco-legno-energia. Il settore offre, infatti, un contributo consistente alla gestione e manutenzione delle foreste. Il combustibile impiegato negli impianti per la produzione elettrica e termica è costituto da biomasse residuali di origine forestale e agrofrestale e dai rifiuti della lavorazione del legno, chiudendo così il cerchio produttivo.
A garantire una sostenibilità del 100% sarà anche la Strategia Forestale Nazionale, il Piano su cui sta lavorando il Governo al fine di fine di tutelare e conservare la diversità strutturale e funzionale delle foreste, valorizzando il ruolo delle sue filiere nello sviluppo socioeconomico del Paese. Il documento si rifà alla nuova strategia UE e ha tra i punti cardine l’obiettivo di “Migliorare la competitività e la sostenibilità delle industrie forestali, della bioenergia e dell’economia verde in generale”. E riconosce che le foreste e le materie prime da esse derivate possano offrire un’opportunità per mantenere o creare posti di lavoro e diversificare le entrate in un’economia verde a basse emissioni di carbonio.
Senza contare che sfruttare al meglio le bioenergie significa anche dare nuovo valore ai rifiuti organici della filiera agricola, agroindustriale e della raccolta differenziata urbana, per produrre, ad esempio, biometano. Secondo le stime del Consorzio Italiano Biogas, con la giusta programmazione l’Italia potrebbe arrivare a produrre 10 miliardi di metri cubi di metano al 2030, ossia oltre il 13% del gas naturale consumato nel 2017.
Agroenergie made in Italy, quali ostacoli ancora da risolvere?
Il comparto oggi naviga in acque incerte. Malgrado le potenzialità ai fini della transizione energetica e della ripresa economica nazionale post COVID-19, la filiera delle biomasse deve fare i conti con diverse difficoltà, sia per quanto riguarda le nuove iniziative che dal punto di vista del parco impiantistico esistente. Difficoltà denunciate in un documento congiunto da Elettricità Futura e le altre associazioni nazionali delle bioenergia: AIEL, EBS e FIPER. I nodi da sciogliere sono diversi a partire dalla modesta ambizione inserita nel PNIEC italiano – il piano di programmazione energetica e climatica al 2030 – i cui target per le bioenergie sono molto più contenuti rispetto a quelli di economie come Francia, Germania o Spagna.
Non si tratta solo del futuro. Come ricordato in più di un’occasione dalla stessa Elettricità Futura – che da inizio 2020 ha aderito Bioenergy Europe – presto potrebbe mancare un significativo apporto storico. “In questo momento in Italia vi è una grave problematica legata alla dismissione di quasi 3.000 impianti di produzione da bioenergie, in grado di fornire 20 TWh di energia rinnovabile, tramite una produzione programmabile e funzionale alla gestione del sistema elettrico”, ha spiegato Andrea Zaghi, Direttore Generale di Elettricità Futura.
Problemi di cui esiste però una soluzione come spiegano le associazioni nel loro recente manifesto di “proposte per la continuità e lo sviluppo degli impianti a biomasse legnose”. Tre gli obiettivi chiave delineati: preservare e consolidare la capacità produttiva esistente; favorire lo sviluppo di nuovi impianti di piccole e medie dimensioni con particolare riguardo per le zone disagiate e distanti da altri fonti energetiche; sostituire gli apparecchi obsoleti di piccola taglia di uso privato. La strada individuata è però una sola e passa per la sostenibilità, premiando filiere virtuose e tracciate, gli impianti più efficienti ed ecologici, ma anche quelli che operano in regime di cogenerazione.
“In questa delicata fase di ripartenza per il nostro Paese – scrivono le associazioni – la produzione di energia da biomasse (termica, elettrica, climatizzazione) assicura lo sviluppo delle filiere locali, con benefici ambientali, sociali ed economici: dalla gestione e manutenzione del patrimonio forestale, alla valorizzazione dei terreni marginali e all’impiego dei sottoprodotti fino alla redistribuzione del reddito sul territorio. Inoltre, nella produzione di tecnologie e servizi per il settore delle biomasse, l’industria nazionale esprime realtà dinamiche e innovative. Infine, la programmabilità caratteristica di questa fonte e la possibilità di impiegarla per tutti gli usi energetici, sia in applicazioni utility scale che residenziali, la rendono particolarmente utile nella transizione verso un modello caratterizzato dalla diffusione di fonti intermittenti e di soluzioni di generazione distribuita basate sull’interazione tra produttori-distributori-consumatori (comunità energetiche). È quindi necessario, ora più che mai, puntare su questa filiera attraverso un contributo più ambizioso di quello proposto dal PNIEC”.